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Romolo e Renzi

Maurizio Crippa

Il primo re è il film politico del momento: una domanda radicale sul futuro della democrazia (e del Pd, ops)

Dire che Il primo re è pura attualità politica, o perfino il miglior film sul congresso del Pd dai tempi di Palombella rossa, può sembrare un testacoda, in mezzo a tutto quel fango di palude. Ma i testacoda mostrano il panorama. E’ un film prepolitico, e quanto mai necessario (il kairos). Non tanto per i destini del Pd, che importa, ma del Pd metaforicamente inteso: come il miglior riassunto che abbiamo sotto mano di un’idea democratico-liberale, basata sui diritti umani e progressisti, su una selezione dal basso della rappresentanza, garantita da meccanismi pluralisti. E da una certa propensione alla chiacchiera, nel mentre gli altri menano come fabbri. Il mondo come lo conosciamo, insomma. L’esercizio della democrazia come la pratichiamo almeno dai tempi di Churchill. Ora siamo nel mezzo di vari finimondi (prima del 21 aprile, data della fondazione di Roma, c’era stata una tremenda alluvione, racconta il film: probabilmente era il 4 marzo). Qualcuno li teme e qualcuno fa il tifo. Quel che una volta era il popolo (populus romanus) con il suo Senato s’è trasformato in un pantano di pulsioni tribali, da guerre per bande, un’anarchia primordiale che va dal Lazio a Visegrád.

 

E arriva questo piccolo film. Che però centra in pieno il punto, con la violenza di una di quelle mazzate senza regole, se non mors tua vita mea, che sono l’unica politica conosciuta a quei futuri romani. Il punto è questo. In questa fanghiglia regressiva in cui siamo immersi, come si ricostituisce il Potere politico? Il principio stesso di autorità, di origine della legittimità, capace di tenere insieme le pulsioni, più o meno belluine, in cui si è disintegrata l’Italia? L’Europa? Già, da dove si riparte? Matteo Rovere è tornato alla radice. Al mito della fondazione. Romolo e Remo, due pastori in fuga per la sopravvivenza. A un certo punto Remo dice ai suoi quattro disperati: io vi ho salvati dalla morte, vi ho difeso, vi ho sfamato, nessuno di voi può sfidarmi. Dunque chiamatemi Re: io sono il re. E con quell’atto d’imperio li costituisce in popolo. O forse non ancora: ci vorrà, dice il mito, che Remo compia hybris, e Romolo lo uccida per poter fondare l’Urbe in cui legittimazione della forza e rispetto del Deus si uniscono nell’atto costitutivo di una Legge. Ordine. Dunque come si (ri)costituisce un potere riconosciuto, che non sia solo esercizio di forza o interessi ma fonte di un’unità di intenti e regole condivise (uno stato, insomma, una nazione: ma se volete pensare in piccolo, perfino un partito)? Il primo re fa pensare: con la violenza di chi il Potere prende, e mette ordine dove c’era solo l’homo homini lupus (che è il titolo di un altro lavoro di Rovere: le coincidenze d’autore non esistono). Ed è un’idea, senza dubbio, consona al nostro tempo: da Putin a Trump fino a Salvini, la leadership va riprendendo una connotazione autocratica, se non monarchica. Un bene, un male? E’ l’unica? Domande che vale la pena porsi. Come hanno fatto Pietrangelo Buttafuoco, intelligente e sornione, sul Fatto, e Furio Colombo che nel film legge la descrizione del ritorno al fascismo in corso in molti luoghi.

 

Scrive Furio Colombo che in quel tempo mitico “nemico è chiunque non sia, anche per caso, dalla tua parte, oppure mostri di ribellarsi”. E però, il timore vero, è che sia sempre stato così, “salvo un breve intervallo di democrazia”. Il film di Rovere fa affiorare il mito, cioè un pensiero profondo che vive sottotraccia, non detto o non capito, o forse taciuto – dai sinceri democratici – con un certo spavento. Certo, non torneremo alla monarchia, tantomeno di origine sacra. Ma la soluzione diversa è ancora attuale? Il “breve intervallo di democrazia” in cui abbiamo vissuto? C’è un urlo, o un rumoreggiare costante, che viene dalle paludi e che chiede un nuovo re, una nuova leadership, un nuovo patto. Non è un caso che per il più républicain di tutti, il più impegnato a rifondare la legittimità del potere suo (ed europeo) su regole di democrazia e di valori condivisi, Emmanuel Macron, si sia usato l’aggettivo jupiterién: per rifondare il potere democratico, di questi tempi, serve una forza mitologica. Vale la pena chiedersi se il nostro sistema di regole e rappresentanze (di cui il Pd è solo un caso particolare) possa sconfiggere chi crede che serva un re che prenda il potere, e fondi un patto nuovo con il suo elettorato. E’ un mito che torna, quello di Romolo e Remo. Ed è un mito sovranista: fascista nel senso di Bannon e Orbán, più che di quello in cartongesso del Duce. Ma pone una domanda piuttosto urgente, alla democrazia come l’abbiamo elaborata in alcuni secoli o decenni. La pone a tutti noi che cerchiamo una salvezza nell’Europa madre delle libertà, e a quelli del Pd: invece di perdere tempo in manifesti, comparsate dall’Annunziata e regole congressuali, farebbero meglio a correre al cinema.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"