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Cosa tiene insieme l'ossessione leghista per i migranti e quella grillina per i vaccini?

Guido Vitiello

C'è un nesso simbolico tra l’ansia per i corpi estranei iniettati tramite vaccinazione e l’ansia per gli stranieri immessi nel corpo nazionale con i flussi migratori

Tu vorresti camminare ordinatamente nella prosa del mondo, con i tuoi bravi paraocchi da ronzino piccolo-borghese, senza scantonate letterarie e impennate poetiche, ma questi ti disseminano il percorso di metafore in cui è impossibile non inciampare. La promiscuità quotidiana con i topi a cui si è costretti zigzagando tra i cumuli di spazzatura delle strade di Roma, per esempio, è una sollecitazione ostinata e inaggirabile. Aspetto solo di ritrovarmi un sorcio morto sul pianerottolo, come il dottor Rieux nella “Peste” di Camus, per arrendermi all’evidenza, e accettare che la musa della storia sta cercando disperatamente di recapitarmi il suo messaggio. In questa diagnostica letteraria variano solo i colori: la “Peste bruna” dei diari di Klaus Mann – il padre Thomas aveva scelto di volta in volta il colera, la tubercolosi, la sifilide per allegorizzare la decomposizione della civiltà europea – o la “Peste bianca” di Karel ČCapek, romanzo scritto alla vigilia dell’occupazione nazista della Cecoslovacchia. Il repertorio epidemiologico è ricorrente, e quando Macron tira l’allarme sanitario contro la “lebbra populista” che dilaga in Europa forse non immagina quanto è lungo il corteo dei suoi predecessori. L’Italia potrebbe rivelarsi una volta ancora, come negli anni Venti, il focolaio di un’infezione destinata a decimare il continente; ma le metafore hanno sempre una doppia vita, come agenti segreti o bigami in incognito, e l’altra faccia del liberale preoccupato che indica ovunque i sintomi del morbo è il malato contagioso che si crede perfettamente sano (tra l’uno e l’altro sta il sottile politologo terzista pronto a dimostrarti che la peste populista, non essendo né sostanza né accidente, propriamente non esiste: ma sappiamo da Manzoni quale fine lo attende).

  

A questo pensavo, non già scansando i topi tra i cassonetti di Roma ma dialogando con un dottissimo amico, lo storico Guri Schwarz. Vedi, mi ha detto pressappoco, c’è qualcosa che tiene insieme l’ossessione leghista per i migranti e l’ossessione grillina per i vaccini. Certo, sono campi semantici distinti e in apparenza li separa una muraglia; ma se li osservi da vicino ti accorgi del nesso simbolico tra l’ansia per i corpi estranei iniettati tramite i vaccini e l’ansia per gli stranieri immessi nel corpo nazionale con i flussi migratori. L’idea soggiacente è quella di un organismo sano in cui degli esperti in camice bianco, che siano medici o pianificatori sociali, vogliono inoculare sostanze sospette, a fin di bene, assicurano loro; per tornaconti loschi, dicono quelli che la sanno lunga. Sul piano retorico l’affinità morfologica è vistosa, mi ha fatto notare l’amico; ma con l’accortezza di precisare che, al di là di questa somiglianza, un legame più concreto tra i due discorsi è tutto da verificare. Io però ero troppo conquistato dal demone dell’analogia per sentirmi vincolato alle sue preoccupazioni di rigore, e così ho lasciato bighellonare la mente, rileggendo sotto questa nuova luce tante cose serie e meno serie degli ultimi anni: la storia della Xylella infame tra complotti delle multinazionali e guerre batteriologiche, le trame occulte di JP Morgan per indebolire la nostra Costituzione sana e robusta, il processo di Trani alle agenzie di rating, il ministro dell’Interno che accusa i migranti di portare la tubercolosi e gli speculatori stranieri di portare lo spread. Tutto si tiene: un malato grave che delira di esser sano, rifiuta le cure, grida agli untori e intanto sparge il suo male. Per parte sua, la musa della storia si arrangia come può; e pazienza se ad avvisarci del pericolo non sono più le oche, ma i topi del Campidoglio.

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