Luigi Di Maio, Giuseppe Conte, Matteo Salvini ( foto LaPresse)

Un'allegra disponibilità verso le mattane

Giuliano Ferrara

L’Italia di Giggino e del Truce è pronta a fare senza l’Europa, così sembra, ma l’Europa non è pronta né a imbrigliare l’Italia né a farne a meno. Sarà un bel caos

Lucia Annunziata si è data della deficiente. E non ha torto. Dice di non avere visto il botto del 2,4 per cento, e il festeggiamento che ha reso anche grottesca la pretesa tragicomica di trasformare promesse popolareggianti in moneta sonante pubblica, spesa improduttiva e demagogica, elettoralistica e assistenzialistica, che alla fine sarà pagata da quelli che dovrebbero incassare la pensione facile e il reddito di bazza, di manna, di cuccagna. Lucia mi è sempre stata simpatica per le sue infatuazioni e resipiscenze, che si rincorrono da tanti anni generosamente, e non è sola. Ora è il momento resipiscenza. Questi, dice, hanno messo in moto un meccanismo perfetto di comunicazione infida e puntano a disfare l’Europa o a piegarla, ma non hanno fatto i conti, nonostante Macron e Merkel periclitanti, con la reazione dura, possibile, dell’Europa e dei mercati. Avete visto che problemaccio per la May e i conservatori inglesi salvare capra e cavoli, tenersi il mercato unico e prendere il volo solitario? Proprio dalla debolezza dell’Unione viene una tendenza, già parzialmente in atto, a fare a meno degli autarchici, a scegliere cooperazioni a due o tre velocità, e olandesi, francesi e tedeschi a un certo punto, stanchi di pestare l’acqua nel mortaio paragreco degli italiani, potrebbero dire infine: volete la sovranità nazionale? Bè, tenetevela, e rifate tutti i conti, ma nelle vostre tasche.

 

Non si sa come andrà a finire, ovvio. Tutti sappiamo che il nostro problema non è solo o tanto l’altezza vertiginosa del debito pubblico, ma il suo rapporto con la crescita economica, che per i francesi, modello propagandistico della Gigginoeconomics per via del loro 2,8 per cento di deficit, è sostenibile pagando un interesse dello 0,8 per cento (i tedeschi 0,4), mentre a noi, con la nota vitalità produttiva del nostro pil e gli indici decennali di crescita inferiori agli altri europei, costa ora 3,8. Dovrebbe essere semplice, no? Ci dovrebbero obiettare, i famosi mercati e le famose tecnocrazie sovranazionali e intergovernative: state fuori con l’accuso, violate regole sottoscritte, siete dei bari, fuori dai coglioni se non cambiate registro, noi rispettiamo la sovranità italiana, ma non le promesse da magia nera elargite al popolo e divenute piano triennale di sballo dei conti.

 

Ma qui nasce un problema, cara Lucia, che può essere alla fine un’attenuante alla nostra comune idiozia. Non è che non abbiamo capito quanto sono famelici di consenso a gratis e ignari di tecniche di buongoverno con le cifre a posto i grillini e i leghisti, in questo almeno alcuni deficienti sono come i maiali di Orwell, meno deficienti degli altri, è che tutti non abbiamo capito quanto sia illusorio contare sulla famosa “dittatura impersonale dei mercati”. I mercati faranno casino e metteranno in difficoltà gli italiani, quelli affluenti e quelli vulnerabili, più i vulnerabili of course, ma il vero problema è che l’impersonale dittatore, anche nella politica di nuovo conio, quella della globalizzazione, non esiste. La lettera della Bce che chiedeva riforme e le elencava fu l’ultima prova di forza delle élite europee, con il suo contorno di Schäuble, Monti, Fornero, Draghi e altri salvatori dell’euro e della patria comune, whatever it takes. Ora viviamo in un altro mondo, la democrazia depoliticizzata, il liberalismo non democratico se preferite, è in ritirata. E’ il momento della democrazia illiberale. Ora si porta l’allegra disponibilità verso le mattane della rabbia, della frustrazione, della nostalgia e del risentimento postindustriale. Non ci sono più operai, contadini, impiegati, conflitti di classe, come osservano i migliori sociologi ed economisti, siamo alla “No society”, a una dialettica tra erogatori di servizi installati nelle zone urbane ad alto coefficiente di ricchezza e una folla infragilita, in recessione reddituale e di status, una folla pulviscolare, dispersa e senza altra testa che quella dei demagoghi. L’Italia di Giggino e del Truce è pronta a fare senza l’Europa, così sembra, ma l’Europa non è pronta né a imbrigliare l’Italia né a farne a meno. I mercati faranno il loro downgrading del nostro debito, gli investimenti se ne andranno altrove, la Bce non sarà più epistolografa, al massimo smetterà di comprare la nostra carta straccia, e quello che verrà, a due o tre velocità, sarà un bel caos per adesso senza soluzioni alle viste. Avremo tempo per giudicarci più stupidi ancora di quel che riusciamo a fare oggi.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.