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La vera prova di maturità del professor Giuseppe Conte

Claudio Cerasa

Andare in Europa per rappresentare l’interesse nazionale o l’interesse populista? Il futuro del premier Conte spiegato con Alda Merini e una scelta necessaria: iscriversi al partito di Mattarella o iscriversi al partito di Raggi

Da una parte c’è il contratto, dall’altra parte c’è il modello. Ma in entrambi i casi il tema che prima o poi il presidente del Consiglio italiano dovrà affrontare – vale sia quando si parla di svolte sui migranti, sia quando si parla di svolte sull’Eurozona – suona più o meno così: che cosa può fare Giuseppe Conte per evitare di diventare una nuova Virginia Raggi? Se si accetta di osservare le dinamiche della politica senza usare le lenti deformate della propaganda populista, non ci vorrà molto a unire i puntini e a capire che l’avvocato del popolo si trova in una condizione non troppo diversa rispetto all’avvocato del Campidoglio. Come Virginia Raggi, Giuseppe Conte ha sottoscritto un contratto con la sua casa madre che lo vincola a non avere potere discrezionale su nessuna delle decisioni che spetterebbero a chi esercita un ruolo così delicato, come quello di sindaco e come quello di capo del governo. E come Virginia Raggi, Giuseppe Conte ha accettato di vedere riempiti i suoi uffici di governo da uomini e donne di fiducia imposti non dal suo staff ma da quello dei partiti che lo appoggiano.

  

Nel primo caso, Raggi ha accettato un contratto estorsivo con Grillo e Casaleggio che vincola il sindaco della Capitale d’Italia a non poter agire senza aver prima sottoposto a parere tecnico-legale ogni atto di alta amministrazione della sua giunta, pena una multa da 150 mila euro, mentre Conte ha accettato un contratto con Salvini e Di Maio che vincola il presidente del Consiglio a non poter agire senza essersi prima accertato se le sue idee siano o no compatibili con il programma firmato da Lega e M5s. Nel secondo caso, Raggi ha accettato di essere commissariata dagli uomini scelti da Luigi Di Maio e Davide Casaleggio per non dare al sindaco della Capitale d’Italia la possibilità di esercitare le sue funzioni in modo autonomo (la Di Maio, Casaleggio e Casalino Associati ha imposto alla sindaca un assessore del giro Casaleggio Associati, Colomban, un avvocato lobbista imposto da Di Maio, Lanzalone, un assessore voluto da Lanzalone, Lemmetti), mentre Conte ha accettato di essere circondato dagli uomini scelti da Di Maio e Salvini per provare a governare da remoto il capo del governo (al presidente del Consiglio, affiancato non da uno, non da due, non da tre, non da quattro ma da dieci sottosegretari, di cui due sono diretta emanazione della Casaleggio Associati, non solo non è stato concesso di scegliersi un suo portavoce di fiducia ma non è stato concesso neppure di potersi scegliere in autonomia il segretario generale di Palazzo Chigi, che in un primo momento doveva essere Giuseppe Busia, voluto da Conte, e che alla fine dovrebbe essere Roberto Chieppa, voluto da Di Maio).

  

Il nuovo messaggio di Tria

Virginia Raggi ha dimostrato di non essere in grado di fare uno scatto e di rompere le catene di un umiliante commissariamento. Giuseppe Conte, che per fortuna dell’Italia non è una Virginia Raggi, ha ancora la possibilità di rompere a poco a poco le catene del commissariamento populista. Ma per farlo dovrà prendere una decisione importante: se andare in Europa per rappresentare l’interesse nazionale o se girare per l’Europa solo per rappresentare l’interesse populista. Il presidente del Consiglio dei ministri, come prevede l’articolo 95 della Costituzione, dirige la politica generale del governo, e ne è responsabile. Ma per poter essere coerente con il rispetto della Costituzione, e dell’interesse nazionale, il presidente Conte sa bene che prima o poi dovrà decidere se considerare le parole del suo ministro dell’Economia come un problema da risolvere o come una opportunità da sfruttare.

  

Anche ieri, il professor Tria, intervenendo all’anniversario della Fondazione della Guardia di finanza, ha ricordato che un governo con la testa sulle spalle non può permettersi pazzie sul deficit, sulla flessibilità, sui conti pubblici, e ha lanciato un altro messaggio, implicito, agli azionisti del suo governo: “Le sfide condizionate dalla particolare situazione economica dovranno essere affrontate nel segno della continuità con le politiche adottate nel passato per gestire al meglio il presente”. E non si tratta di un capriccio, ha detto Tria, ma si tratta di “verificare l’aderenza delle strategie intraprese rispetto al contesto economico e giuridico fortemente e contraddittoriamente in continua evoluzione nonché per pianificare con lungimiranza il futuro”. Il ministro dell’Economia, con uno stile non diverso rispetto al ministro degli Esteri (mentre Salvini e Di Maio promettevano di abolire le sanzioni alla Russia, il Consiglio europeo, con il sì dell’Italia, ha prolungato ancora di un anno le sanzioni), ha capito che nella condizione in cui si trova il nostro paese l’unico modo per poter gestire senza irresponsabilità un contratto senza coperture da oltre cento miliardi di euro è uno e solo uno: fare di tutto per rinviare nel tempo le promesse più importanti e muoversi nella consapevolezza che in questa legislatura se non salta il programma rischia di saltare l’Italia. Le indicazioni contenute nella risoluzione della maggioranza sul Def indicano che al momento la strada del governo sembra essere quella di usare le uscite isteriche dei suoi ministri per nascondere una sostanziale continuità in politica economica (delle promesse presenti nel contratto di governo resta solo l’impegno a evitare aumenti Iva e contrattare flessibilità sul deficit nel rispetto degli impegni europei, come avrebbe fatto un qualsiasi governo della Troika).

  

Ma al momento nessuno può dire con certezza se la linea del ministro Tria sia anche la linea del presidente Conte. Nel suo primo discorso da presidente del Consiglio, Conte ha tenuto a sottolineare che “gli obiettivi che la nostra squadra di governo si ripromette di raggiungere sono affidati alla pagina scritta” (ahi) e ha ribadito che “i singoli obiettivi che abbiamo posto a fondamento di quest’azione di governo sono indicati nel contratto” (super ahi). Eppure, più passerà il tempo e più sarà chiaro anche al presidente del Consiglio che per evitare di ritrovarsi dei Lanzalone a Palazzo Chigi, per evitare di essere commissariato dal primo Marra di turno, per evitare di avere nell’amministrazione dell’Italia gli stessi margini concessi al sindaco di Roma per amministrare la capitale d’Italia, per salvarsi dai poteri loschi che prima o poi tenteranno di fare a Palazzo Chigi quello che hanno fatto al Campidoglio, non ci sono molte scelte: o iscriversi al partito di Mattarella o iscriversi al partito di Raggi. E per prendere una decisione occorre fare presto: il 28 giugno il presidente del Consiglio andrà al Consiglio europeo a discutere anche della grande riforma dell’Eurozona annunciata martedì da Merkel e da Macron (dal bilancio comune dell’Eurozona, all’intesa sulla trasformazione del Meccanismo europeo di stabilità in un Fondo monetario europeo) e prima di quella data dovrà decidere se l’attenzione che questo governo dedicherà all’Europa sarà ancora simile allo spazio dedicato all’Europa dal presidente del Consiglio nel suo discorso di insediamento: 1.282 battute, sessanta battute in meno dello spazio dedicato alle auto blu e ai costi della politica.

  

La prova di maturità del professor Conte, in fondo, la si può spiegare anche giocando con una delle tracce offerte ieri ai maturandi di tutta Italia. La traccia sulla solitudine è ispirata a una poesia di Alda Merini (“S’anche ti lascerò per breve tempo, solitudine mia, / se mi trascina l’amore, tornerò, / stanne pur certa; / i sentimenti cedono, tu resti”). Ma accanto al testo che ha ispirato i temi della maturità c’è anche una spiegazione che Merini diede di quella poesia anni dopo: “Io non ho mai amato la solitudine. Ma se stare in mezzo alle persone significa convivere con la falsità preferisco starmene per conto mio”. Se governare in coerenza con le promesse significa governare con la falsità (che significa farsi anche falsi amici in Europa, e non vale solo per i migranti) meglio alzare un muro e dare al presidente del Consiglio la possibilità, sulle cose importanti, di starsene felicemente per conto suo. Sarebbe meglio per Conte, ma sarebbe prima di tutto meglio per l’Italia.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.