Giuliano da Empoli (foto LaPresse)

Contro i trumpiani italiani il Pd deve unirsi come i greci contro i persiani

David Allegranti

Oggi il partito si riunisce in assemblea. Non guardare il passato, non litigare sul nulla, vocazione maggioritaria, organizzare un partito che sappia parlare, dice Giuliano da Empoli 

Roma. Dice Giuliano da Empoli, alla vigilia dell’assemblea nazionale (sarà eletto un segretario subito o sarà fissata la data del congresso?), che il Pd può approfittare del tempo a disposizione non solo per fare opposizione frontale al nascente governo giallo-verde, ma anche per rivedere l’organizzazione del partito. Persino imparando dal M5s che su internet – dice al Foglio da Empoli – ha effettivamente qualcosa da insegnare. Lo scrittore vicino a Matteo Renzi è al contempo pessimista e ottimista. “Il pessimismo della ragione nasce, tra le altre cose, dall’aver letto il bel libretto di Francesco Cundari sugli ultimi 20 anni di guerra all’interno della sinistra e del Pd. Un’infinita storia di divisioni che si accentuano nei momenti della sconfitta, quando il Pd dà il peggio di sé. E questo è un dato storico. Poi c’è l’ottimismo della volontà. Mi aspetterei una pace sul modello delle città greche che, pur essendo litigiosissime, di fronte all’invasione persiana furono in grado di unirsi. L’aspetto positivo è che le divisioni del Pd che finora hanno avuto grandi visibilità adesso diventeranno invisibili, perché non gliene frega più nulla a nessuno. Quindi la minore visibilità potrebbe ridurre la conflittualità. Chiaramente il congresso – che va fatto entro l’anno, perché non siamo in un quadro di stabilità che consenta attese pluriennali – farà aumentare la dialettica interna ma potrebbe comportare anche una desistenza rispetto ai toni polemici più incontrollati”. Insomma bisogna celebrare il congresso entro il 2018 e il Pd deve presentarsi all’appuntamento con alcuni paletti ben precisi. Per esempio, deve liberarsi della vocazione maggioritaria? “Io ci penserei bene prima di liquidarla. Per due ragioni”. 

   

Quali, da Empoli? “Anzitutto, anche se il sistema elettorale non venisse modificato, chi ha il 40 per cento può ambire a governare. E il Pd l’ha preso 4 anni fa. In più, il Pd è oggi l’unico vero luogo in cui si può costruire l’alternativa al governo trumpiano che sta nascendo. A maggior ragione se rilancia la vocazione maggioritaria. Il che non esclude la formazione di una coalizione”. E comunque, la vocazione maggioritaria “è quella che ha dato al Pd le cose migliori, dal Lingotto alla stagione renziana. Non mi pare invece che la vocazione minoritaria – quella di chi voleva fare la costola del M5s – abbia un appeal maggiore”. Il Pd oggi è al 18 per cento “però sappiamo che i cicli della politica si sono molto accelerati. Quindi l’obiettivo del 40 per cento oggi può apparire molto distante, ma la situazione è tutt’altro che stabilizzata, in un contesto molto polarizzato come quello che si sta costituendo, con i trumpiani da una parte e il Pd all’altra”. E’ possibile che il Pd e la parte di Forza Italia che non vuole morire salviniana si incontrino? “Non credo che sia un tema attuale, però è evidente che più avanti, a un certo punto, bisognerà mettere insieme tutte le forze che si contrappongono ai trumpiani italiani”. Per il Pd, intanto, ci sono tre i grandi fronti sui quali lavorare. “Uno è quello della forma partito. Se guardi l’età degli eletti del Pd, per non parlare degli elettori, è molto più elevata di quella dei Cinque stelle e della Lega, nonostante l’ondata renziana. Senza diventare un partito del web, è evidente che il tema per noi riguarda modalità organizzative che permettano di rivolgersi in maniera diversa a generazioni diverse. L’esempio inglese di Momentum, movimento a sostegno di Jeremy Corbyn, è pessimo dal punto di vista dei contenuti però è interessante nella forma. A giugno, Volta ospiterà John McTernan, stratega di Tony Blair, che oggi è iscritto a Momentum. E’ un personaggio brillante, gli abbiamo chiesto di parlarci proprio di quel movimento”. In Italia, dice da Empoli, “c’è un grande lavoro da fare su questo fronte. Era stato cominciato da Fabrizio Barca, poi è stato lasciato cadere ma va ripreso. D’altronde, il Pd è un vecchio partito novecentesco che ha qualche aspetto positivo ma anche molti handicap”. E non basterà contrapporsi ai trumpiani italiani, “ci vorrà anche una proposta in positivo. Come dice Paul Valery, il futuro non è più quello di una volta. Il futuro è un luogo di paura e preoccupazione. Qualche settimana fa sul Foglio Sabino Cassese sottolineava come i doveri e la sicurezza debbano essere declinati in forme nuove per ricostruire una visione motivante del futuro. Sono piste da seguire”.

  

Poi c’è il tema della leadership, “che è centrale. Il segretario del partito deve ancora essere anche il candidato presidente del consiglio” Ma anche questo tema, dice da Empoli, si ricollega a quello della nuova politica: “Se il Pd è quello che fa ogni tre mesi le riunioni nelle polverose stanze degli alberghi, certe energie non le intercetti. Su questo fronte i grillini hanno prodotto un effetto perverso. Si sono appropriati di un tema e l’hanno reso intoccabile. E’ inevitabile: se tu ragioni sulle nuove forme della politica, hai subito paura di finire in mezzo ai loro deliri. Eppure tra i deliri grillini e il partito dei primi del Novecento c’è tutta una terra di mezzo che bisogna esplorare”. Insomma, diciamolo pure, spiega da Empoli, “i Cinque stelle hanno un contenitore molto sofisticato per un contenuto assolutamente balordo. La macchina che hanno costruito dal punto di vista dell’infrastruttura non è certamente da imitare, perché ha dei tratti che conosciamo, quasi totalitari, però non possiamo non tenere conto della loro esperienza. Diciamola così: hanno sputtanato un tema, che è quello della partecipazione e della formazione delle decisioni al tempo di Google, ma il tema si pone comunque. Ognuno di noi ha in tasca un cellulare che tira fuori al momento del bisogno e a cui pone delle domande. Dopodiché, se arriva il Pd e ti fa la conferenza programmatica di tre giorni nel sotterraneo di un albergo anni Settanta è chiaro che c’è un gap fra noi e loro. Questo non significa che bisogna dare una risposta grillina al problema, ma il problema esiste e te lo devi porre. D’altronde, una delle chiavi di lettura del renzismo è stato il culto della velocità. E’ stato il tentativo di una risposta che però non ha ancora trovato una traduzione organizzativa dentro il Pd”. Concretamente, dice da Empoli, “si tratta di dare pari dignità a forme di militanza diversa. Bisogna che il Pd sia un partito nel quale la partecipazione in forme tradizionali continui a esserci, ma abbia pari dignità rispetto a forme diverse. Tempo fa uno stratega di En Marche! mi spiegava che loro hanno lavorato sull’organizzazione del partito partendo dal punto di vista dell’utente, cioè del militante, non dal punto di vista del dirigente. Che esperienza deve fare uno che viene a darci una mano? A, si deve divertire, e, B, deve sentirsi utile. Ognuno ha caratteristiche diverse, c’è chi è utile in un modo chi in un altro. Il Pd deve ripartire dalla user experience e chiedersi: come do al militante un’esperienza divertente e coinvolgente che lo faccia sentire utile?”.

  

Ma da Renzi che discorso si aspetta? “Chiunque abbia visto le due apparizioni televisive di Renzi in queste settimane sa che l’unico leader che c’è in questo momento nel Pd è lui. Renzi però è nella situazione della moglie di Lot. Secondo la parabola biblica è colei che era avviata verso il mondo nuovo e che quando si è girata indietro è stata trasformata in una stata di sale. Se Renzi guarda al futuro, ha un ruolo fondamentale da svolgere, se si volta ancora una volta a guardare il passato si trasforma in una statua di sale. Quindi sogno un discorso nel quale non siano più menzionati gli 80 euro. Un grande discorso da leader europeo sui valori e sul futuro, che in questa fase sono l’unica cosa che conta”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.