All'Agcom si pensa a come neutralizzare il “metodo Casalino” in tv

Luciano Capone

Revisione della par condicio per favorire il contraddittorio

Roma. Oramai è sempre più difficile vedere nei talk show politici dei veri dibattiti tra leader politici, come se ne facevano una volta. Il “codice Rocco”, ovvero le regole che il capo della comunicazione del M5s Rocco Casalino è riuscito a imporre per le ospitate, sta diventando uno standard anche per gli altri partiti che stanno sempre più centralizzando la comunicazione politica: il vertice del partito decide chi va in televisione, se autorizzare o meno la partecipazione o meno ad alcune trasmissioni ostili, evitando sempre (almeno per i leader) il confronto con gli avversari. Non è un caso se ultimamente il format più diffuso è quello dell’intervista al leader del conduttore, al massimo affiancato da altri giornalisti, ma senza competitor politici. Il problema è diventato talmente evidente che si sta pensando a qualche correttivo: “Per la prossima par condicio chiederò al Consiglio Agcom di introdurre una regola per favorire il contraddittorio tra esponenti politici in tv, oltre che tra opinionisti. Il diritto a essere informati nasce anche dal contraddittorio, dal confronto, a beneficio di tutti i cittadini”, ha twittato Antonio Nicita, docente di politica economica alla Sapienza ma soprattutto commissario dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

 

L’Authority sta riflettendo su queste tematiche e sta raccogliendo i dati e i minutaggi delle trasmissioni, soprattutto dell’ultima campagna elettorale, per misurare se effettivamente come sembra si è ridotto lo spazio di confronto diretto tra le forze politiche ed, eventualmente, adottare dei correttivi per favorire il contraddittorio e penalizzare comportamenti come il boicottaggio o il rifiuto dei partiti di partecipare ad alcune trasmissioni. Il tema è delicato e, come ogni volta che si parla di par condicio, alimenterà polemiche sia da parte dei partiti che dei giornalisti che vedono l’eccesso di regole come un’ingessatura destinata a complicare ulteriormente le cose. Le ipotesi su cui l’Authority sta lavorando sono due ed entrambe si basano su meccanismi che, in teoria, non dovrebbero limitare la libertà editoriale e politica. Un primo meccanismo, mutuato dall’esperienza francese, potrebbe essere quello nei confronti con un solo politico di misurare il tempo di parola anche di giornalisti e opinionisti per attribuirlo o sottrarlo a seconda che siano favorevoli o contrari. E’ evidente che si tratta di una soluzione molto complicata, che comporterebbe oltre alla maniacale misurazione dei temi anche una specie di “etichettatura” di giornalisti e opinionisti, una cosa che gli autori fanno informalmente ma che spesso è molto sfumata e difficile da fare ufficialmente.

 

La seconda ipotesi per favorire forme di confronto diretto tra leader politici è di tipo incentivante, e dietro c’è probabilmente la formazione da economista di Nicita. Nessun obbligo a partecipare a dibattiti, ma un peso diverso al tempo di parola a seconda che si eviti o meno il contraddittorio: se un leader parla da solo il suo tempo vale di più (e quindi parla di meno), se invece dibatte con gli avversari vale di meno (e quindi può parlare più a lungo). Per ora le proposte sono solo bozze su cui lavorare, soprattutto dopo aver elaborato i dati, ma sarà fondamentale capire i dettagli perché è lì che si insidiano i problemi e che le norme rischiano di produrre effetti contrari.

 

Ai giornalisti, anche prima di sapere quali sono le proposte in campo, al solo senti parlare di nuove regole sulla par condicio si rizzano i capelli. “E’ una cosa allucinante”, dice Nicola Porro, conduttore di Matrix, che pure non nega i problemi. “Già oggi è difficile organizzare i confronti, se metti nuove regole non risolvi la questione, anzi va a finire che ti mandano le terze file o che i confronti non li fai più”. Come fare allora per neutralizzare i diktat dei partiti e avere un confronto vero tra leader politici? “Serve una risposta di mercato, e cioè una presa di posizione da parte dei giornalisti e degli editori”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali