Maurizio Martina (foto LaPresse)

Storia di Martina, che alla storia del reggente ci aveva creduto

Redazione

Il Pd è pieno di eredi di tradizioni secolari che non riescono mai a imporre la propria volontà di potenza. Un paradigma

Roma. Per una frazione di secondo della storia, il Martina – in luogo di Maurizio – alla questione del “reggente” ci aveva creduto per davvero. E’ stato un momento, all’uscita dalle consultazioni con Roberto Fico, quando ha aperto al dialogo con il M5s con accanto Matteo Orfini, Graziano Delrio, Andrea Marcucci nelle vesti di reggenti del reggente. Tutto un teorizzare scenari nuovi in giacca e cravatta, fasi nuove, confronti con Luigi Di Maio e con il M5s, che per qualche ora fingevano entrambi – presunto leader designato della Casaleggio Associati e partito – di essere ciò che in realtà non possono essere: istituzionali, senza bava alla bocca, quirinalizi, quasi dei corazzieri. Epperò non c’è nulla di quirinalizio nel M5s, che ha appunto ricominciato a ruttare.

 

Il Martina ci aveva insomma creduto per davvero: aveva creduto di essere lui a governare il partito, a guidarlo, a orientarne pubblicamente la discussione. Macché. Allo scadere della mezzanotte, come nella celebre favola, l’elegante carrozza s’è trasformata in zucca e il reggente è diventato, più semplicemente, un passante. Già pareva strano che Matteo Renzi si fosse scelto un numero due, proprio lui che non vorrebbe neanche se stesso come vice. Sicché l’ex segretario ha fatto credere al Martina di poter governare, finanche collegialmente. La solida certezza è durata una mezz’ora circa, perché prima sono partiti i renziani con i loro tweet saettanti contro l’accordone con il M5s. Poi è arrivato Renzi a “Che tempo fa” e le ambizioni di Martina si sono sciolte come lacrime nella pioggia. Per carità, che altro poteva fare il reggente in queste condizioni, se non fare come tutti gli avversari di Renzi in questi anni e cioè finire al macero? Prima o poi bisognerà pur raccontare la storia dell’opposizione all’ex sindaco di Firenze, che si fa tonitruante su Twitter e sui giornali e poi s’accomoda al solito bancone dei prosciutti della coop, laddove ci si mette in fila ad aspettare il San Daniele. Martina è rappresentativo di una generazione, quella degli assistenti del leader che riescono a essere magari bravi ministri (Martina lo è stato) ma non riescono a sfidare il capo. Il Pd è pieno di eredi di tradizioni più o meno secolari che non riescono a imporre la propria volontà di potenza. D’altronde, un buon funzionario di partito resta un funzionario di partito. E il Martina quello è: l’assistente preparato che rassicura il leader di turno. Esordisce come fassiniano (nel senso di Piero) entrando nella segreteria nazionale della Sinistra Giovanile, poi è veltroniano quando c’è da essere veltroniano, esprime qualche perplessità per la scelta di Dario Franceschini – il “vicedisastro” come lo definì Renzi in una celebre intervista – salvo entrare in segreteria quando l’attuale ministro della Cultura diventa segretario, dunque è bersaniano al congresso del 2009, cuperliano nel 2013, infine folgorato sulla via di Rignano come altri “compagni” al punto di fondare una corrente di sinistra per il Sì al referendum (se leggendo il curriculum vi viene in mente la storia di Debora Serracchiani, altrettanto brava con le liane delle correnti, non vi state sbagliando. Anche lei, d’altronde, prima ha detto che Franceschini traccheggiava e poi lo ha sostenuto al congresso; per non parlare del suo renzismo e antirenzismo a corrente alternata). Nel 2010 Martina appoggia Stefano Boeri alle primarie milanesi del centrosinistra, vinte poi da un esterno al Pd, Giuliano Pisapia. E’ una disfatta per i Democratici. Martina si dimette ma poi ritira le dimissioni. Solo grandi successi, insomma. Essere di sinistra in questi anni non lo ha condannato al settarismo, visto che il reggente, nato in una famiglia Dc, ha mantenuto ottimi rapporti con i cattolici. A lasciare il segno fu l’esordio in politica: a 21 anni – correva l’anno 1999 – fu eletto nel consiglio comunale di Mornico al Serio, nella lista civica dell’allora sindaco Rossano Breno, poi presidente della Compagnia delle Opere di Bergamo, nientemeno che il braccio economico di Comunione e Liberazione. “E qualcuno pensava che fosse diventato ciellino pure lui”. No, non è ciellino il Martina, è solo reggente. Nel senso che si regge a qualcosa.

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