Sandro Pertini con Bruno Conti, che bacia la Coppa del mondo di calcio conquistata a Madrid, al ritorno in Italia sull’aereo presidenziale: è il 13 luglio 1982 (foto archivio LaPresse)

Pertini, il pop president

Maurizio Stefanini

Il calcio, le canzoni di Cutugno e Venditti e i fumetti di Pazienza per raccontare l'ex presidente, il capo dello stato che piaceva agli italiani

Buongiorno, Italia / gli spaghetti al dente / e un partigiano come presidente”, cantava nel 1983 Toto Cutugno in “L’italiano”: solo quinta al Festival di Sanremo di quell’anno, ma poi benedetta da un successo strepitoso di vendite. Curiosamente, più ancora che in Italia all’estero, dove è a volte percepita come una sorta di altro inno nazionale di fatto. “I carri armati a fari spenti nella notte / sotto la pioggia / hanno lasciato strane tracce sull’asfalto / piene di sabbia / il presidente dietro i vetri un po’ appannati / fuma la pipa / il presidente pensa solo agli operai / sotto la pioggia”, aveva peraltro già cantato nel 1982 Antonello Venditti in “Sotto la pioggia”. Entrambe allusioni chiarissime, a un capo dello stato che era allora in carica: ma senza fare espressamente il nome che nel 2016 sarebbe stato invece pronunciato da Raphael Gualazzi in una gozzaniana “L’estate di John Wayne”. “Torneranno i cinema all’aperto / E i dischi dell’estate / Le celebri banane di Andy Warhol / Tornerà Lupin e farà un colpo eccezionale per noi / Torneranno i figli delle stelle, / Sui tuoi sedili in pelle / Le penne stilo in mano / E le vacanze in treno / Forse anche Pertini per un poker con John Wayne”.

 

Il film documentario “Pertini il combattente”, che la settimana prossima sarà nelle sale, è tratto da un libro di Giancarlo De Cataldo

Ventisei anni dopo la morte; 130 dopo la nascita; un secolo esatto dopo la sua partecipazione a quella Grande guerra per cui da sottotenente dei mitraglieri era stato proposto alla medaglia d’argento al valor militare, perché “… debellava una dietro l’altra le mitragliatrici avversarie numerosissime e protette in caverne… Bellissima figura di eroismo e audacia”. Poi però non gliel’avevano data. “Mi ero opposto all’intervento”, spiegava Pertini.

 

Anche Venditti e Gualazzi sono dunque tra gli intervistati in “Pertini il combattente”, film documentario di Graziano Diana e Giancarlo De Cataldo dal libro “Il combattente” dello stesso De Cataldo. E Gualazzi canta anche, accompagnandosi col pianoforte. Stanno assieme a giornalisti come Gad Lerner, Paolo Mieli, Eugenio Scalfari, Marcello Sorgi. A un altro inquilino del Quirinale come Giorgio Napolitano. A magistrati come il recentemente scomparso Mario Almerighi, Gherardo Colombo e Olimpia Monaco. A politici come Emma Bonino e Massimo Brutti. A uno storico della Resistenza (ma non solo) come Giovanni De Luna. A un sociologo come Domenico De Masi. Ma c’è anche Angelo Pasquini: sceneggiatore e giornalista, che però parla in quanto all’epoca di Pertini fondatore della famosa rivista satirica “il Male”. E c’è perfino Dino Zoff, portiere e capitano della Nazionale che vinse la Coppa del mondo del 1982. Il documentario inizia infatti con le famose immagini di Pertini che esulta e commenta la vittoriosa finale di Madrid con la Germania. Al ritorno il presidente volle volare con i giocatori, e a bordo fece una famosa partita a scopone scientifico in coppia con lo stesso Zoff, contro l’accoppiata Causio-Bearzot: riferimento della canzone di Gualazzi. Il vecchio campione ricorda quel match, diventato famoso per la sfuriata che il presidente gli fece dopo la sconfitta. E ribadisce quello che rivelò un paio di anni fa: in effetti era stato Pertini a sbagliare, ma non era il caso di contraddirlo…

 

 

Altre immagini del documentario rimandano al pozzo di Vermicino: là dove era caduto il piccolo Alfredino Rampi, che la Protezione civile non riuscì a salvare dopo una lunga kermesse in diretta sulla Rai. A un certo punto anche Pertini andò a vedere: fu applaudito dalla gente, ma i soccorritori osservarono che in quel momento avrebbero gradito molto di più l’arrivo di qualcuno in grado di infilarsi in quello sprofondo per recuperare lo sventurato ragazzino.

 

Oltre ai “vip” ci sono poi sei adolescenti di oggi, che interloquiscono con De Cataldo sul ricordo di Pertini. Tutti sono evidentemente nati dopo la sua morte. Ma tutti lo ricordano bene, anche se per immagini in realtà molto poco ufficiali. La finale di Madrid, la partita con i calciatori, Vermicino, appunto. Ma anche le canzoni, e il fumetto che a Pertini dedicò Andrea Pazienza: un grande fumettista che di Pertini era sessant’anni più giovane, che al presidente aveva dedicato un affetto quasi filiale e che tragicamente finì per morire di droga un paio di anni prima di lui.

 

Resta un simbolo di onestà e anche di demagogia giustizialista, pur essendo sempre rimasto nel Psi, principale vittima di Tangentopoli

“E’ un Pertini presentato con una cifra volutamente pop”, ci conferma la produttrice Gloria Giorgianni. “La ricerca del linguaggio è una cosa a cui io tengo moltissimo nelle mie narrazioni, e dunque ne abbiamo voluto uno che potesse avvicinare i giovani: qui plasticamente rappresentati dai sei ragazzi che ascoltano Giancarlo raccontare. Fondamentalmente la cosa passa attraverso la narrazione della parte musicale e anche visiva, tra i disegni di Pazienza e l’animazione. Abbiamo provato a mischiare un po’ i linguaggi. Cioè a incrociare il linguaggio un po’ più classico della testimonianza e del repertorio con un linguaggio un po’ più moderno in un mix che vuole trovare l’ambizione di parlare al numero di generazioni più largo possibile”.

 

E non ci sono su Pertini solo le canzoni di Cutugno, Venditti e Gualazzi. “No, erano parecchie”, ci conferma Gloria Giorgianni. “Le abbiamo scoperte un po’ alla volta. E in fondo è la canzone pop a dirci molto sulla pancia di un paese”. “Grande grandissimo, forte fortissimo, Sandro / bello bellissimo, importantissimo Sandro / tu sei per noi, per tutti noi il nostro babbo…”, è ad esempio nel 1982 il testo di “Babbo Rock” degli Skiantos. E’ invece del 1984 “Caro presidente” di Daniele Shock. “Caro presidente come va? / Ci ha insegnato lei la libertà / e la vita sua è già una storia / Caro presidente grazie se / piange tra la folla anche per me / se non ha paura e combatte ancora / forte è la sua onestà…”. Del 2007 è “Mio nonno era Pertini” di Marco Stella. “Mio nonno era Pertini / e aveva le ossa di legno d’ulivo / le sue vene erano radici / ed era il classico ligure schivo / Mio nonno era Pertini / faceva parte di un’orchestra a plettro / cantavano le serenate/ e suonavano spesso a orecchio”.

 

Questo film, però, esce proprio ora: a ridosso delle elezioni epocali che hanno visto il Movimento cinque stelle di Di Maio e la Lega di Salvini conquistare oltre la metà dei voti. L’anteprima è stata infatti mercoledì scorso, mentre nelle sale va giovedì prossimo. “In realtà è stato un fatto casuale”, ci spiega Gloria Giorgianni. “Ci stavamo lavorando da un anno e mezzo, e anzi l’idea originale sarebbe stata quella di farne una fiction”. La domanda viene però lo stesso spontanea, e infatti nel film la fa Marcello Sorgi. Non è stato anche dal pop di Pertini che è venuto fuori il populismo che ha prima travolto quella Prima Repubblica, di cui Pertini pure era stato un fondatore e fu per sette anni il massimo custode, e che sta ora travolgendo anche quella Seconda Repubblica che dalle sue ceneri è nata?

 

“Pertini ha fatto del protocollo una pallottola di carta e lo ha buttato nel cestino”, sintetizzò una volta Indro Montanelli, secondo cui Pertini “ha interpretato al meglio il peggio degli italiani”. “Un brav’uomo pittoresco e un po’ folcloristico”, rispose dalle colonne del Corriere della Sera a un lettore che rilevava “con disappunto” l’avvenuta “rimozione dalla memoria degli italiani”. Secondo Montanelli erano “altri i grandi d’Italia’” dimenticati: “Gli Einaudi, i De Gasperi, i Saragat, i La Malfa, i Vanoni, che nella politica del nostro paese hanno contato molto di più… Fu certamente onesto, coraggioso e coerente con le proprie idee (anche perché ne aveva pochissime). Nel suo stesso partito non esercitava alcun peso, era considerato un ‘compagno’ di tutto affidamento, ma bizzarro, imprevedibile e sempre pronto a qualche colpo di teatro”, scrisse ancora Montanelli. “Nenni che gli voleva bene mi disse una volta: ‘Io non sono certamente un uomo di cultura e alla cultura non attribuisco, per un politico, una decisiva importanza. Ma qualcosa so, qualche libro l’ho letto, anche grazie a Mussolini quando mi mandò al confino a Ponza. C’era anche Sandro. Lui, l’unica cosa che leggeva era l’Intrepido. Il resto del tempo lo passava a giocare a briscola o a scopa. Alle nostre discussioni sul futuro dell’Italia e del partito non partecipava mai, e quando lo faceva, era solo per invocare il popolo sulle barricate, per lui la politica era solo quella’”.

 

Il dramma di Vermicino: Pertini andò a vedere e fu applaudito dalla gente. Anche da lui il populismo che ha travolto la Prima Repubblica

“E’ una provocazione intelligente quella che ha fatto Sorgi”, riconosce Gloria Giorgianni. “Pure, secondo me oggi nel panorama politico italiano manca un personaggio del genere. Effettivamente alcuni suoi atteggiamenti possono sembrare da deriva populista ante litteram, ma incarnava al contempo un ideale di etica, di onestà politica e di grande coraggio che oggi si fa veramente fatica a rintracciare”. Uomo vicino al popolo, certo. Ma anche il presidente degli incarichi di governo attribuiti a leader di partiti non di maggioranza relativa come Ugo La Malfa, Giovanni Spadolini e Bettino Craxi. Cioè, colui che portò al massimo quel gioco di alchimie della Prima Repubblica cui la Seconda e Terza Repubblica hanno poi preteso di porre rimedio a colpi di retorica maggioritaria. Ma è vero che Pertini quelle scelte riuscì a presentarle come rinnovamento: la fine dell’interminabile sfilza di democristiani a Palazzo Chigi. E chissà se oggi un Pertini non riuscirebbe meglio di Mattarella a sbrogliarsela col rebus del nuovo Parlamento?

 

Né furono queste le sole contraddizioni di Pertini. Venditti nel documentario spiega la sua canzone nella chiave di un presidente che secondo lui era contrario in cuor suo all’intervento in Libano, ma faceva lo stesso il suo dovere di capo delle Forze armate che erano in quell’intervento impegnate. Ma non era forse la stessa contraddizione – anch’essa sottolineata nel film – del Pertini pacifista e eroe della Grande guerra? Pertini resta poi un simbolo di onestà e anche di demagogia giustizialista, pur essendo sempre rimasto in quel Partito socialista che è stato la principale vittima della buriana di Tangentopoli. Pertini era al fondo un riformista molto vicino a Giuseppe Saragat. Con Saragat aveva condiviso il carcere; con Saragat aveva condiviso una rocambolesca evasione che in un filmato d’epoca è da lui raccontata appunto con dovizia di colore pertiniano. Però al momento della scissione di Saragat rimase con i filo-comunisti, per fedeltà alla bandiera. Il film ricorda anche la “durezza da ex-partigiano” con cui affrontò il sequestro Moro e l’emergenza terrorismo: e ciò in spiccato contrasto proprio con quel “partito della trattativa” di cui il suo partito, Craxi e i suoi amici di Lotta Continua erano alfieri. Però la radicale Emma Bonino ricorda di quando questo duro venne una notte a Montecitorio a portarle da mangiare durante una lunga battaglia ostruzionista di cui non condivideva neanche le ragioni. Ed era un uomo nato nell’800 che appunto indulgeva a un giovanilismo pop.

 

Montanelli: “Ha interpretato al meglio il peggio degli italiani… Nel suo partito era considerato un compagno affidabile ma bizzarro”

“Forse più che di contraddizioni bisognerebbe parlare di contrasti”, osserva Gloria Giorgianni. “Ma forse sono anche questi contrasti a testimoniare la sua grande onestà intellettuale e a farne un personaggio ancora amato e rimpianto. Sul rapporto col suo partito nel film c’è il racconto molto bello di Almerighi, quando i magistrati vengono a dirgli che anche il Psi è coinvolto nella storia delle tangenti sul petrolio. Lui ne è profondamente colpito, ma dice: ‘Andate avanti’. Certo, non era perfetto. Ma il film su di lui è anche un ragionamento su quanto è realmente giusto essere popolari, e su quanto può essere un limite”.

 

Gloria Giorgianni deve toglierci infine una curiosità, visto che la sua brillante carriera di produttrice è iniziata con la Palomar di Montalbano. Il commissario di Vigata è un personaggio di fantasia, che agisce su un ambito locale. Pertini fu invece un personaggio storico, e un presidente della Repubblica. Ma quello stile di servire fedelmente le istituzioni pur facendoci quasi a pugni, non è in fondo lo stesso? Insomma, non fu il presidente pop e forse populista un Montalbano della politica? E non è l’eroe di Andrea Camilleri una sorta di Pertini dei detective? “Sono personaggi provenienti da mondi molto diversi, ma è vero: sono entrambi personaggi che tentano la difficile quadratura del servire le istituzioni restando vicine alla gente. Montalbano è un personaggio con una sua etica pertiniana: molto profonda, molto intensa e molto vicina all’umanità dei casi. Spesso riesce quindi a ottenere risultati mettendosi un po’ ‘contro’: ma sempre tra virgolette, perché alla fine resta sempre all’interno del sistema, dell’istituzione”.

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