Chiamparino è tornato, ed è pronto a raccogliere i cocci del Pd
Attivo in campagna elettorale, il governatore del Piemonte lancia appelli all’unità ma si prepara a un eventuale post Renzi
Roma. Dicono spesso i suoi amici, e più spesso i suoi nemici, che lui è tipo da accettare una sfida solo quando è già sicuro di vincerla. E dunque ci sta che Sergio Chiamparino per ora resti prudente, nel definire il suo futuro. Attendere, osservare: e poi decidere. Quel che è certo, al momento, è che non si ricandiderà a guidare il Piemonte nel 2019: e questo, evidentemente, anche in virtù della sua abitudine di cui si diceva, dal momento che la sfida per le regionali del prossimo anno sembra già persa, col centrodestra favorito assoluto. E tuttavia, chi lo ha seguito in queste settimane nei mercati della sua Torino, chi lo ha visto prendere la parola in comizi e convention a sostegno dei candidati del Pd, racconta di un ardore che non pare affatto il preludio al congedo dalla politica attiva. Dagli oneri e dalle fatiche della campagna elettorale, in verità, il governatore pensava di poter essere esentato, almeno per questo giro: defilato, sornione. Poi, però, un po’ il senso del dovere di chi il ruolo di padre nobile del partito, almeno in Piemonte, ha scelto d’interpretarlo sul serio, e dunque alla pressione dei tanti che gli chiedevano una mano, per provare a raddrizzare sondaggi tutt’altro che confortanti, ha finito col cedere; un po’ quel certo narcisismo, quella voglia di essere protagonista, sempre e comunque. Ed ecco che Chiamparino è tornato, anche stavolta, a scendere per strada, a impegnarsi sul serio. Tanto più che nel frattempo anche dell’altro punto di riferimento, il Pd torinese era rimasto sprovvisto, dacché Piero Fassino, già uscito sconfitto alle amministrative del 2016 contro Chiara Appendino, per logiche di opportunità territoriale aveva accettato di fare il candidato in trasferta, tra Modena e Ferrara. Chiamparino è tornato, insomma. E non solo per questo scorcio finale di campagna elettorale.
Nel suo rinnovato entusiasmo, nella sua disponibilità a incontrare tutti gli alleati della coalizione che passano per Torino (da Emma Bonino a Beatrice Lorenzin), nel suo attivismo, s’intravede infatti l’inizio di una prudente opera di ricollocamento all’interno del partito: che pare coincidere, sostanzialmente, con l’allontanamento definitivo dall’orbita renziana. Si sta smarcando, insomma, per farsi poi trovare pronto. Ed è in quest’ottica che l’ex sindaco di Torino ha detto la sua, comme il faut, anche sullo stallo che si preannuncia per il dopo-elezioni: “L’idea delle larghe intese non mi piace. Meglio, piuttosto, tornare subito al voto. E però prima – ci ha tenuto a precisare – bisogna modificare la legge elettorale, introducendo il voto disgiunto”. Un’apertura significativa nei confronti di Liberi e uguali.
Non a caso, ciò che Chiamparino ripete in questi giorni è che quel centrosinistra largo bisognerebbe ricostituirlo, e infatti afferma che “la teoria dell’uomo solo al comando non funziona”, rivendica il suo operato in regione “dove governiamo – ha detto durante un comizio – anche col sostegno di quei partiti che purtroppo ci sono avversari in queste elezioni”. Poi, ovviamente, per evitare di essere additato come uno di quelli che rema contro, ha anche messo le mani avanti: “Nessuno pensi che il centrosinistra possa essere ricostruito sulla sconfitta del Pd”. Lo ha fatto proprio di fronte a Matteo Renzi, durante la tappa torinese del tour elettorale dell’ex premier. Ed è finita ad abbracci a favore di telecamere. Ma al segretario del Pd non deve essere sfuggito l’insistito riferimento che Chiamparino ha fatto alle “alla memoria storica del partito”, all’“orgoglio per le nostre bandiere e per la nostra comunità”, nonché ai danni causati dalle divisioni. “E’ chiaro che si sta ritagliando un ruolo per il dopo”, osservano al Nazareno. Laddove per “dopo” s’intende un 5 marzo col Pd sotto quota 22 o 23 per cento: risultato che renderebbe impossibile la permanenza di Renzi alla guida del Pd. Chiamparino sa bene che per quel ruolo di “traghettatore” circolano già altri nomi: da Walter Veltroni a Nicola Zingaretti. Lo sa e infatti per ora non sgomita più di tanto. Ma se glielo dovessero chiedere, evidentemente, non direbbe di no.
Antifascismo per definizione