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A Roma si intravede già l'"altro Pd" che si prepara alla battaglia postelettorale

I nomi attorno ai quali ci sarà la rivincita di Roma dopo il complesso renziano della Firenze capitale non riconosciuta

Matteo Renzi non ama Roma, in nessuna sua versione. Ha sempre trascinato con sé il complesso di Firenze capitale non riconosciuta e ha trasferito anche in politica una certa inesauribile voglia di rivalsa. Roma ha pazientato, ora si attrezza a riprendersi la centralità (mai veramente perduta) nel caso in cui ‪il 4 marzo dovesse far sfiorire definitivamente gigli e gigliati. Anche nel Pd, anche nella fase che si preannuncia di ridefinizione delle geometrie e degli equilibri di un centrosinistra che sarà quanto meno rimescolato (alcuni temono devastato) dai risultati elettorali.

 

Qualcosa è già scritto nell’agenda dei prossimi giorni e settimane di campagna, e in parte è scritto anche nei sondaggi.

 

La traccia da seguire è quella di Paolo Gentiloni, non nel suo ruolo di premier bensì in quello di candidato di uno dei pochissimi collegi difficili ma contendibili a Roma per il centrosinistra (forse l’unico, insieme a quelli di Marianna Madia e di Riccardo Magi). Certo, Gentiloni sarà più volte in televisione, girerà l’Italia negli altri luoghi dov’è candidato (nel plurinominale nelle Marche e in Sicilia) a sostegno del Pd e delle liste alleate, ma i momenti topici delle sue apparizioni saranno nella capitale. E in questi momenti topici verrà affiancato da personaggi molto significativi di un certo passato, presente e probabilmente futuro del Partito democratico. Nessun renziano fra loro, per il semplice motivo che sono tutti o pre-renziani, oppure dichiaratamente post-renziani.

 

I primi nomi sono quelli di Francesco Rutelli e di Carlo Calenda, protagonisti già ‪venerdì prossimo di una convention a tre punte, plasticamente sospesa tra il richiamo alle radici genuinamente liberal ma anche pluralistiche del Pd e la prospettiva di un possibile scarto futuro di cui possa essere protagonista il ministro dello Sviluppo economico, ovvero il non-candidato più candidato di queste elezioni. Toccherà poi a Walter Veltroni, che già si è visto in qualche periferica manifestazione elettorale democratica ma apparirà veramente sulla scena solo verso la fine di febbraio, proprio a Roma e proprio al fianco di Gentiloni. E c’è infine Emma Bonino, il cui collegio senatoriale si sovrappone nel centro di Roma con quello del premier, e che alla guida della lista +Europa comincia vistosamente a incarnare il ruolo di possibile valvola di sfogo per un elettorato democratico sì, ma non renziano: certo si tratta di un ruolo di nicchia, apprezzato e forse premiato da quella fascia minoritaria di elettori che conoscono e praticano il voto tattico, ma potrebbe diventare importante per la lettura del risultato del ‪4 marzo qualora la lista superasse la soglia del 3 per cento segnalando un disagio molto personalizzato nei confronti del segretario del Pd e del suo europeismo a corrente alternata.

 

La rivincita di Roma potrebbe prendere anche un altro nome, quello di Nicola Zingaretti. Il candidato dato in testa nei sondaggi per la regione Lazio non è del tutto assimilabile agli altri fin qui citati (se non per il curriculum di fervente veltroniano), ma soprattutto e sicuramente non è assimilabile al segretario del Pd, anche se ogni fantasia sul suo ruolo di alternativa a Renzi per la leadership nazionale si è sempre infranta contro il suo rifiuto, e in definitiva contro la sua indole. L’eventuale vittoria di Zingaretti non solo potrebbe spiccare e fare da eccezione in un contesto nazionale deludente, ma basandosi su una geometria di coalizione unitaria a sinistra porterebbe inevitabilmente con sé una critica implicita alla concatenazione di eventi culminata con la scissione bersaniana (ricordarsi il fuorionda di Delrio su Renzi, “non fa neanche una telefonata…”).

 

E’ chiaro che sui risultati e sulle loro conseguenze nessuno può fare ipotesi serie, oggi. Ma è anche abbastanza evidente che dentro la campagna elettorale sia visibile la filigrana di “un altro” Pd, o quanto meno la preoccupazione di garantire la tenuta della ditta nel caso un’eventuale sconfitta apra la crisi della leadership renziana, o sia Renzi stesso a reagirvi imponendo nuovi strappi.

 

Per ora l’incombere “dell’altro” Pd si nota soprattutto per le assenze, nel senso che l’appello ai ministri affinché mettano la propria faccia sulla campagna a livello nazionale, ammesso che fosse sincero, non è stato granché raccolto da gente che del resto è stata tutta duramente maltrattata al momento della formazione delle liste. Ma presto, chissà, anche prima della fine della campagna elettorale, qualcosa di più esplicito si potrebbe ascoltare e vedere. Se accadrà, molto probabilmente accadrà a Roma.

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