Lapresse/Andrea Di Grazia

Anche Musumeci si impiglia nella burocrazia della legge Severino, e rischia

Redazione

Il presidente siciliano e il documento mancante (non solo a lui)

Roma. Non solo i consiglieri regionali. A rischiare, ora, è anche il governatore: e così il post-voto, in Sicilia, rischia d’ingarbugliarsi in un tourbillon di ricorsi al Tar e di sfide a colpi di codice dagli esiti imprevedibili, e potenzialmente clamorosi. Anche Nello Musumeci, infatti, avrebbe omesso di presentare l’autodichiarazione prevista dalle legge Severino: quella che certifica, di fatto, l’effettiva candidabilità di chi decide di correre alle elezioni. Lo rivela al Foglio chi ha potuto osservare gli atti depositati nella corte d’Appello di Palermo, dove gli aspiranti governatori hanno consegnato gli incartamenti necessari a ufficializzare la loro candidatura.

 

Si potrebbe pure liquidare tutta la questione come una banale quisquilia procedurale, però in questo caso il vizio di forma rischia di avere conseguenze gravi: per questo i diretti interessati sono in allarme. Il Foglio lo aveva già raccontato a metà novembre, il silenzioso caos postelettorale siciliano. Dovuto, sostanzialmente, al fatto che molti dei candidati appena eletti all’Ars rischiano di vedersi negata la proclamazione. Di decadere, cioè, prima ancora di poter occupare il loro scranno a Palazzo dei Normanni. Il motivo? Non avrebbero compilato il modulo specifico in cui, secondo quanto previsto dalla legge Severino, gli aspiranti amministratori devono attestare di non avere a proprio carico i reati previsti dalla legge stessa come inconciliabili con l’ambizione a rivestire cariche pubbliche. E però ora il problema si fa più serio, gli scenari che si prefigurano assumono contorni grotteschi. Sì, perché a non aver presentato la documentazione completa non sarebbero solo i futuri consiglieri, ma anche colui che risultato vincitore delle elezioni: Nello Musumeci. “E allora si capisce – spiega un avvocato siciliano tempestato dalle telefonate di esponenti di vari partiti e movimenti – che non è più questione di chi entra o non entra a Palazzo dei Normanni: è questione di chi governa o non governa la Sicilia. Insomma, si rischia di dover rifare tutto”.

 

E’ presto, in verità, per dire se davvero finirà così. Le baruffe tra studi legali sono ancora alle fasi preliminari. A rompere gli indugi sono stati due rappresentanti – uno catanese, siracusano l’altro – di Alternativa popolare, rimasti fuori dall’Ars, che hanno deciso di ricorrere al Tar: hanno poco da perdere, dopo la clamorosa disfatta del partito di Angelino Alfano il 5 novembre. “Noi sappiamo – spiega uno di loro – che abbiamo ottime chance di rientrare all’Ars. Ma qui il problema è un altro: se anche i candidati presidenti hanno sbagliato gli incartamenti, allora bisogna rivedere tutto”. Secondo i notabili isolani di Ap, che già hanno in mano nuove simulazioni di come risulterebbe composta la “nuova” Assemblea, i problemi maggiori li avrebbero il M5s e il centrodestra. “Sappiamo che molti dei candidati a cinque stelle non hanno presentato la certificazione di candidabilità necessaria in molte province, e pertanto dovrebbero decadere subito. Quanto al loro leader siciliano, stiamo richiedendo l’accesso agli atti alla corte d’appello di Palermo, dove i candidati presidenti consegnano la propria documentazione”. Chi già l’ha ottenuto, di poter vedere le carte degli uffici circoscrizionali del tribunale palermitano, è proprio il M5s. Che ha mandato nel capoluogo un docente di diritto, già presentatore delle liste pentastellate nelle scorse elezioni, a visionare gli atti.

 

“Li ho visti, li ho visti”, racconta al Foglio, chiedendo l’anonimato. “Ed è certo – aggiunge – che Nello Musumeci non ha presentato l’autodichiarazione prevista dalla Severino”. L’esperto, vicino ai grillini siciliani, spiega che in realtà “è assai dubbio stabilire se ricorrano gli estremi per rimettere tutto in discussione. I candidati che hanno omesso quell’autocertificazione hanno comunque attestato di non avere reati a proprio carico ai sensi di una legge precedente, la 29 del ’51, che è una legge regionale. La quale è stata superata dalla Severino, che impone paletti più stringenti, ma non soppressa. Direi semmai integrata. E insomma: senza scadere nei tecnicismi, io credo che agendo nel rispetto di quella legge regionale, non si violino necessariamente i principi della Severino”. Sarà. Nel frattempo, comunque, i Cinque stelle si stanno muovendo. Spiega un loro senatore, siciliano “e – garantisce lui – con competenze di diritto amministrativo”: “Noi aspettiamo di vedere cosa fanno gli altri. Se procedono con ricorsi contro di noi, a quel punto replicheremo. O tutti o nessuno: tertium non datur”. E tra i tutti, chissà, potrebbe rientrarci anche Fabrizi Micari. Il candidato del Pd, dice chi ha visto i documentati depositati al tribunale di Palermo, ha presentato le proprie liste nel capoluogo in extremis: “Quattrocento e rotte firme, autenticate tutte da una stessa persona, e tutte il 6 ottobre, ultimo giorno utile, a ridosso della scadenza delle 16. Un po’ strano, francamente”. Strano, senz’altro. Ma non è detto che sia un illecito. E tuttavia, in questa malsana nuvolaglia di sospetti, mascariamenti e vendette reciproche, tutto sembra poter prendere una strana consistenza. Di certo, per ora, c’è solo che la sfida a colpi di codicilli continuerà.

Di più su questi argomenti: