
Le immagini dell'aggressione al giornalista Daniele Piervincenzi
La penna e gli Spada
L’aggressione a Daniele Piervincenzi dice due cose sulla politica e su Ostia
Due cose sul pestaggio di un giornalista avvenuto a Ostia. La prima è che si continua a parlare della piccola località litoranea come se fosse ineluttabilmente sotto la cappa di un potere locale inscalfibile e superiore al potere dello stato: “Il Clan”. Adesso, oltre ai tanti messaggi di solidarietà che non costano nulla e non valgono molto di più, sarebbe bene che lo stato ristabilisse l’equilibrio e facesse sentire la propria presenza. Il picchiatore che si vanta su Facebook davanti a un pubblico infinito di avere spaccato la faccia a un intervistatore tradisce l’arroganza di chi è convinto di controllare un territorio, di chi crede di essere nel suo reame.
A quell’arroganza lo stato dovrebbe rispondere con una pressione tale da scoraggiare per i prossimi anni qualsiasi tentazione di atteggiarsi a ras della città. Ostia non è in Messico, basta con quest’idea pigra che un potere locale e malavitoso può spadroneggiare alle porte della capitale. La seconda cosa che notiamo è che c’è da chiedersi: c’è qualcuno che continua a legittimare con le sue parole, le sue frecciate, i suoi insulti, il concetto che i giornalisti possono essere aggrediti e vanno aggrediti? A furia di “giornalisti servi”, “strisciate”, “pezzi di merda”, “carogne”, “avvoltoi” – e sono tutti esempi tratti dalla conversazione politica corrente – poi ai simpatizzanti meno loquaci pare normale prendere a manganellate un reporter. Non è normale per niente e chi preme sempre su quel pedale, degradare i giornalisti con l’aria di chi in fondo scherza, porta una quota di responsabilità.


Il popolo ha sempre ragione
Statista? Mah, Pertini capì solo che per piacere agli italiani basta poco

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