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Berlusconi è l'argine ai ribellisti

Luciano Capone

Ricolfi spiega come il Cav. è riuscito a separare anti politica e populismo (e per Grillo questo è un problema)

Roma. Da diverso tempo si presenta come l’unico vero “argine al populismo” e in tanti ormai, più o meno convintamente, gli riconoscono questo ruolo. Nelle ultime settimane ha attaccato il “partito ribellista dei 5 stelle”, ha messo in guardia gli elettori dal “pauperismo” e dal “giustizialismo” dei grillini, ha definito Luigi Di Maio come “una meteorina della politica” e tutta la classe dirigente del M5s come incompetente: “Dei loro parlamentari l’86 per cento non ha mai fatto una dichiarazione dei redditi e quindi non ha mai lavorato. Sono loro i veri politici di professione, non hanno alcun altro mestiere nella vita”. “A Palermo come a Roma l’alternativa sarà fra noi e i grillini, fra la nostra esperienza – aveva detto in un’intervista al Giornale di Sicilia – e la loro incapacità, quella indiscutibile di chi non ha mai realizzato nella vita niente di buono neppure per sé e per la propria famiglia”.

 

Ora le elezioni siciliane, con la vittoria del centrodestra capeggiato da Nello Musumeci, sembrano confermare che è Silvio Berlusconi la vera alternativa al M5S. E’ l’ultima metamorfosi del Cav., la trasformazione in uomo delle istituzioni e della moderazione, l’anti populista in grado di garantire la stabilità, che un po’ come Reagan con Mondale usa la carta dell’esperienza contro quella del nuovismo. Ma l’immagine del Berlusconi anti populista è un po’ paradossale. “E’ la realtà – dice al Foglio Luca Ricolfi, sociologo dell’Università di Torino – basta leggere uno degli ultimi libri di Marco Revelli, “Dentro e contro”, per rendersi conto che Renzi è la terza forza populista in Italia insieme a Salvini e Grillo. Di fatto anche Renzi ha fatto populismo per anni e ora c’è rimasto solo Berlusconi”. Ma Berlusconi si è sempre presentato come un anti politico e anti establishment, è un po’ paradossale che oggi incarni il volto della responsabilità. “Si è fatta molta confusione in passato tra antipolitica e populismo, che non sono la stessa cosa – dice Ricolfi –. Lui è certamente un antipolitico, ma è forse il meno populista di tutti. La polemica contro l’establishment è rimasta, come quella contro il ceto politico di professione che infatti usa contro i 5 stelle. In questo non è cambiato”. Adesso anche tanti ex nemici lo riconoscono come avversario. “Si accorgono della differenza perché il contesto è cambiato e le stesse parole suonano in modo diverso”.

 

C’è anche maggiore consapevolezza nel centrodestra. Basti pensare a cosa è accaduto un anno fa alle elezioni comunali di Roma e ora alle regionali siciliane. Lo scenario era molto simile: un’amministrazione uscente di centrosinistra molto contestata e destinata a perdere (Marino e Crocetta) e un candidato del M5s in forte crescita di consensi (Raggi e Cancelleri). A Roma il centrodestra fece forse la più disastrosa campagna elettorale della storia, con 3 o 4 candidati sostituiti (due gazebarie e una coalizione spaccata tra Giorgia Meloni e Alfio Marchini) che di fatto consegnò la capitale a Virginia Raggi, pur sfiorando il ballottaggio (alla fine la Meloni arrivò pochi punti dietro Giachetti). Un anno dopo in Sicilia c’era il rischio di fare la stessa fine: beghe e litigi nazionali per la leadership (per la verità non ancora risolte), la presenza di due o tre candidati diversi (Musumeci, Armao e Lagalla) e il rischio di andare di nuovo divisi alle elezioni consegnando la Sicilia al M5s (come peraltro era già accaduto nella scorsa tornata con Crocetta). Stavolta però il centrodestra ha trovato una sintesi, un compromesso o forse solo una tregua, si è stretto attorno a una candidatura autorevole e con un forte consenso personale e ha sbarrato la strada ai “ribellisti” del M5s. Cos’è cambiato in un anno? “Quanto più si approssimano le elezioni politiche, tanto più nel centrodestra si appassiscono le beghe locali. A Roma e anche a Milano sono prevalsi i calcoli di bottega – dice al Foglio Ricolfi – ma ora che la posta è più grande il discorso cambia e le vittorie come quella siciliana aiutano a superare le divisioni”. E se Berlusconi è l’argine al M5s, chi è l’argine a Berlusconi? “Il migliore è Gentiloni, ma finché il frontman è Renzi viene tenuto in naftalina. Al momento ci sono solo lui e Minniti”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali