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Sfumature di buon ottimismo

Michele Masneri

Cronaca di una giornata molto ottimista alla Festa del Foglio di Firenze 

Comincia col saluto del sindaco di Firenze la giornata dell’ottimismo del Foglio. Ecco, tipo Istituto Luce, la cronaca della gloriosa giornata fogliante autunnale. Nell’augusta mattinata fiorentina nel salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, fatto costruire da Savonarola e costruito in soli sette mesi tra il 1494 e il 1495 (grandi opere) si comincia col sindaco dal volto adolescente Dario Nardella a dialogo col prode direttore Claudio Cerasa, per l’occasione autorevolmente sbarbato. “Essere ottimisti è molto complicato” dice il sindaco. “Perché ci sono molti nemici. Sono i conservatori, quelli che si nutrono di rabbia” dice Nardella, sbarbatissimo anche lui. “Se Dante Alighieri fosse qui collocherebbe i nemici dell’ottimismo tra gli ignavi, e in Italia c’è questa tendenza: se qualcuno ha successo c’è sempre qualcosa dietro”. Dagli ignavi si passa poi agli islamici radicalizzati, chissà in che girone saranno (intanto il Cav. non si è presentato, gettando nello sconforto tutti noi che volevamo farci un selfie con la sua nuova bellissima incarnazione Mao-Tse-Tung).

 

 

Panel esteri: Andrea Marcenaro modera il dibattito con Paola Peduzzi, Daniele Raineri e Mattia Ferraresi, i foreign fighters del Foglio. “E’ stato un anno molto ottimista per l’Europa” dice Peduzzi. “Dopo la Brexit, dopo Trump, pensavamo che fosse la sliding door dell’Europa. Si pensava che l’Europa nasce o muore, non c’era più una via di mezzo, ed è rinata” ha detto Peduzzi. “E proprio la Brexit ci ha fatto capire che l’Unione, unione doganale e mercato unico, non era solo espressione politica, ma una buona pratica quotidiana. Questa scoperta ha rafforzato tantissimo l’Europa e se all’inizio abbiamo pensato che forse ci sarebbe piaciuto stare con gli inglesi, poi abbiamo capito che il cerino è rimasto in mano a loro” dice Peduzzi europeista. Per Daniele Raineri c’è poi dell’ottimismo anche in medio oriente, e anche questo Isis non si porta già più. “Lo Stato islamico ha esercitato tutta la schiuma del mondo islamico, è stato il modello populista dell’islam radicale” dice Raineri. “Era una voglia di sconvolgere la realtà. Come tutti i movimenti populisti vogliono rompere tutto, cambiare moneta, stravolgere tutto”. Anche gli hipster islamici non sono più molto entusiasti. “Un ufficiale mi ha detto di aver trovato i giovani che l’anno scorso erano salafiti tutti in piazza che ascoltavano musica e fumavano sigarette. E quelli hanno ammesso che sì, quello era l’anno scorso’. Magari non sarà così per tutto ma ci sono comunque motivi per non vedere così nera la situazione”. 

 

 

In collegamento da Parigi, Giuliano Ferrara si chiede che fine abbiano fatto le brigate internazionali, quelle che vanno a Mosul o a Raqqa a combattere per lo Stato islamico. Secondo Raineri sono in realtà molto in calo, dai 100 al giorno di questi valorosi dell’Erasmus islamico sarebbero scesi a 4-5 al mese. Ma per Ferrara un vento di ottimismo soffia pure sui destini dell’Europa, per esempio in Austria “con questo giovanissimo prossimo cancelliere, che ha fatto campagna elettorale col coltello tra i denti ma adesso ritratta e dice ‘attenzione all’antisemitismo, a me piacciono i discorsi di Macron’”.

 

 

Ottimismo economico: ecco qua un bel panel col professor Marco Fortis, il ciuffo più elegante della micro e pure macroeconomia italiana. Un ciuffo che da solo ispira ottimismo e anche di più. “Oggi abbiamo cinquecento-seicento miliardi meno della Spagna di ricchezza dopo la crisi. Ma sta aumentando il reddito disponibile, i consumi crescono di 1,5 punti più del pil” dice Fortis. E anche “gli investimenti delle imprese sono cresciuti più che in Germania e Francia negli ultimi tre anni e mezzo”.

 

C’è poi un tema culturale che riguarda la ricerca: Ilaria Capua, la ricercatrice italiana che ha vissuto la sua disavventura con l’accusa d’essere una bieca trafficante di virus, sostiene che l’Italia fa di tutto per creare perfetti talenti e poi farli scappare all’estero. Dopo aver accuratamente formato i giovani, li fa fuggire, e non riesce a importare quelli esteri. Mentre le università americane offrono opportunità alle famiglie dei professori, o “dual opportunity” per chi vuole una cattedra ma non vuole perdersi per strada il coniuge, in Italia, racconta la scienziata, siamo ancora fermi all’equipollenza dei titoli di studio, e spesso ottimi scienziati stranieri non possono insegnare in Italia perché la loro laurea non è riconosciuta (e magari però gli è stata convalidata per un dottorato). Qui non c’è molto da essere ottimisti, effettivamente.

 

Botta di ottimismo invece grazie a Industria 4.0. Il moderatore Giuseppe De Filippi sottolinea come l’ambizioso piano del governo sia solo la prosecuzione dell’antica legge Sabatini con altri mezzi (che De Filippi sia un pericoloso pessimista?) mentre l’amministratore delegato di Snam, Marco Alverà, sostiene che “non servono ricette miracolistiche. Basta dialogare con le imprese. E Industria 4.0 ne è la dimostrazione: Industria 4.0 ha avuto infatti un impatto anche psicologico, perché le imprese sapevano che dovevano ricominciare a investire, e aspettavano il momento giusto per farlo”.

 

 

Pausa con il fine dicitore Saverio Raimondo, che si getta in un elogio del pessimismo. “Non sono ottimista, anche visto il mio fisico”, dice Raimondo. E poi lancia un programma, anche politico. “Spezziamo una lancia a favore del pessimismo” dice il comico. “Noi pessimisti siamo gli unici a credere in qualcosa: il peggio. E dal peggio si passa a un altro concetto fondamentale, il meno peggio, il massimo a cui si può ambire in Italia” (potrebbe prendere diversi voti, a prescindere dal Rosatellum).

 

Poi pausa, e ottimismo agricolo con un panel condotto dal gentleman meridionale Luciano Capone, che inizia con una dotta prolusione sull’ananas (il frutto) mostrando showmanship degna di Renzo Arbore, chiaramente il suo modello artistico.

  

Segue altrettanto dotta lectio officinalis del professor Roberto Defez, pasionario Ogm. Lui proprio gli Ogm li ama, ne parla come un innamorato. Pollini e semi sono poesia per lui. “Selezione, incroci, miglioramento genetico, mutazione delle piante, creiamo nuove splendide piante”, dice ispirato. “Abbiamo oggi duemilacinquecento piante di cui non conosciamo l’origine, ma le mangiamo da cinquant’anni”. Il suo verbo preferito è “mutagenizzare”, parola più temibile della Monsanto. “Se voi avete paura di mangiare un Ogm, invece non avete paura di iniettarvelo in vena. Tutto il cotone che usiamo per i nostri cerotti e le nostre garze è Ogm, lo mettiamo a contatto con le nostre ferite, non ci fa allergia”, proclama. E ancora: “Le paure che abbiamo generato sovrastano le prove scientifiche. L’Europa è terrorizzata dalla fake news degli Ogm. L’87 per cento di tutti i mangimi contiene Ogm”. La sessione agreste si chiude romanticamente con Antonio Pascale che con un fiorellino in mano compone un’ode al cotone Ogm.

 

 

Arriva poi anche il videomessaggio del ministro dell’Economia Padoan, in un bluastro un po’ da Barbara D’Urso. E poi comincia l’aperitivo musicale condotto da Camillo Langone con tante musiche d’epoca che fanno stringere il cuore e battere i piedi al vasto pubblico.

 

Per il gran finale arriva Matteo Renzi, ma preceduto dalla ’su mamma e dal ’su babbo, che indossa dei mocassini blu molto ottimisti. Renzi figlio invece entra, sale le scale e sbuca da destra, mentre tutti lo attendiamo a sinistra (metafora?) e proprio mentre l’aperitivo musicale ha appena finito di suonare “Datemi un martello”, di Rita Pavone. “Noi siamo cresciuti con la narrazione dell’Italia al centosettantaduesimo posto per la libertà di informazione e per la democrazia”, dice Renzi. “Siamo abituati alla narrazione per cui va sempre tutto male”. “E’ un errore clamoroso che fa del male ai nostri figli” dice il segretario del Pd molto carico. Poi difende il Jobs Act, che ha creato “novecentosettantottomila posti di lavoro”. “Novecentosettantottomila meno uno” dice Cerasa istigandolo a parlare di Banca d’Italia e del governatore Visco. “Noi siamo quelli che fanno le battaglie a viso aperto”, dice, “e c’è un gap enorme tra la verità e quello che viene rappresentato dai media in questa vicenda”, conclude. Mentre nel salone rimbomba ancora l’indimenticabile riff di Rita Pavone – “lo voglio dare in testa / a chi non mi va”. Sipario, ottimismo, cena.

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