Beppe Grillo e Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Premiership e temi. Nella democrazia grillina votare è un gioco di prestigio

David Allegranti e Luciano Capone

Dai programmi al candidato premier. Nella democrazia diretta da Grillo c’è un problema: “Non si sa quando si vota”

Roma. È il partito della democrazia diretta, ma chi dirige la democrazia ha deciso che per il momento non si vota più. L’ultima volta che gli iscritti del Movimento 5 stelle sono stati chiamati a pronunciarsi risale a quasi un mese fa, il 2 agosto, quando hanno ratificato il “Programma università”, con la solita votazione lampo di 9 ore: un post alle 11 sul Sacro blog annuncia che si può votare dalle 10 – cioè un’ora prima della comunicazione – fino alle 19. Poi il sistema operativo Rousseau, la piattaforma della democrazia diretta dalla Casaleggio Associati, è stato bucato da un hacker. Davide Casaleggio ha cercato di rassicurare tutti: “L’attacco hacker subito da Rousseau è avvenuto all’interno del vecchio sito”. 

  

“Sono già state messe in atto tutte le azioni necessarie per impedire il ripetersi di intrusioni informatiche come questa”, ha aggiunto Casaleggio. Neppure il tempo di pubblicare il comunicato sul blog che arriva un nuovo attacco hacker, più grave e intrusivo del precedente. Da allora, appunto, non si vota più. Dopo il “Programma università” è stato presentato il “Programma sviluppo economico” (“Mi raccomando, partecipate e votate numerosi!”), poi il “Programma Affari costituzionali (“Buon voto a tutti”), e ora il “Programma beni culturali” (“Buon voto!”), ma di votazioni neppure l’ombra. Evidentemente, a causa del timore degli hacker, la democrazia è sospesa. Ma nella sostanza – che gli attivisti si esprimano o meno – cambia poco, visto che il loro ruolo è sostanzialmente quello di ratificare le proposte calate dall’alto. Funziona così: uno o più parlamentari del M5s sintetizzano il programma per una macroarea, un esperto “indipendente” (o presunto tale) illustra i singoli provvedimenti, gli attivisti approvano.

  
In realtà gli attivisti non sono molto attivi: non scelgono l’argomento, non partecipano alla formulazione delle proposte, non selezionano chi le espone, ma sono solo chiamati in poche ore a votare sì o no. E il banco, ovvero il blog, vince sempre. Mai una proposta è stata rigettata, tutte sono state approvate con percentuali che avrebbero fatto invidia al Partito comunista bulgaro: i singoli provvedimenti del “Programma energia”, per esempio, sono stati confermati con una maggioranza che va dall’87 per cento al 98, 9 per cento. Per quanto riguarda altri temi proposti, i militanti non hanno avuto neppure la facoltà di votare sì o no, ma solo la possibilità di indicare una preferenza tra una serie di provvedimenti, che comunque entrano tutti nel programma ma presentati seguendo un ordine dettato dalle varie preferenze. Ad esempio, per quanto riguarda il “Programma sicurezza” gli iscritti a Rousseau sono stati chiamati a esprimere una scelta tra “sicurezza e libertà” e i circa 20 mila elettori si sono divisi così: 13 mila hanno scelto la “tutela della sicurezza collettiva” e 7 mila la “tutela della privacy e delle libertà personali”. Ma alla fine entrambe le scelte sono finite nel programma perché “queste due variabili vengono spesso considerate l’una in opposizione all’altra, ma in realtà sono finemente complementari”, spiega il blog.

  
Il caso più paradossale però è quello del “Programma esteri”. La politica estera del M5s è già stabilita, blindata in un pacchetto di 10 punti, la votazione degli attivisti si limita a indicare le “priorità” tra le dieci proposte che, in ogni caso, entrano tutte nel programma elettorale. In pratica il ristorante di Grillo e Casaleggio fornisce un menù completo e i clienti grillini non possono né aggiungere né togliere pietanze, ma solo scegliere l’ordine dei piatti che dovranno ingurgitare. Se però lo chef vuole cambiare il menù ex post, non c’è problema, può fare come gli pare. E’ il caso di un piatto prelibato chiamato “Un’Europa senza austerità”. La ricetta presentata sul Sacro blog prevedeva l’introduzione di una “moneta fiscale”, ovvero la creazione di una valuta parallela all’euro un po’ sul modello della doppia moneta di Berlusconi. L’idea è piaciuta un sacco, è stata scelta da 8.529 attivisti ed è risultata la seconda più votata tra le dieci, ma poi è sparita quando è stato pubblicato il menù elettorale: nel programma definitivo la creazione della “moneta fiscale” si è trasformata in “un’alleanza con i Paesi dell’Europa del sud in grado di dialogare con tutto il cosiddetto ‘Mediterraneo allargato’ per superare definitivamente le politiche di austerità e rigore legate alla moneta unica”. Cosa significhi non si sa. Si capisce solo che Grillo, dopo aver accantonato il referendum sull’euro, ha deciso di eliminare dal programma anche la moneta fiscale, con buona pace del voto degli attivisti.

  
Bonafede, a quando i candidati? “Non lo so”.

  
Anche sul fronte della selezione del candidato premier, le cose non vanno molto meglio. “È importante avere la squadra pronta da subito ed è per questo che in vista delle politiche, entro il 24 settembre, presenteremo il candidato premier”, diceva a fine luglio Luigi Di Maio, intervenendo alla Versiliana, il salotto dell’estate. E’ passato un mese da quelle dichiarazioni e manca meno di un mese alla scadenza annunciata dal vicepresidente della Camera, eppure sul Sacro blog non compare alcun post di votazione per il candidato premier. Anzi, al momento non si sa proprio neanche chi potrebbero essere, formalmente, gli aspiranti candidati del M5s. Sappiamo soltanto quello che la Casaleggio Associati lascia trapelare nelle sue veline ai giornali, e cioè che Di Maio dovrebbe essere il leader. Ma la domanda è: chi lo deciderà? E soprattutto, quando verranno presentate le candidature degli aspiranti premier? “Non lo so”, dice al Foglio il deputato Alfonso Bonafede, molto vicino a Grillo e Casaleggio.
Bisogna anche dire che stando al maoismo digitale dei Cinque stelle cambierebbe poco.

 

Il padrone della ditta è uno ma il programma del partito di Beppe Grillo è già stato ratificato online senza colpo ferire e tutto è pronto, anche se non si vota da settimane. Sulla base di quali differenze programmatiche un militante/elettore del M5s dovrebbe scegliere Di Maio o Fico? Sulla base del “personaggio”? Ma no. In fondo, si tratta solo di scegliere un portavoce. Comunque, l’ex webmaster di Pomigliano d’Arco è già in fase di rodaggio per la campagna elettorale. Ha trascorso l’ estate a sparare contro ong e a congratularsi con le forze dell’ordine per gli sgomberi sgangherati. Adesso prova a cambiare storytelling, ma il danno sembra essere fatto. “In questi giorni ancora una volta sono stato definito fascista, razzista, addirittura ‘imprenditore della paura’. E ancora una volta, storpiando le mie parole, si è giocato a spaccare il M 5s”, ha scritto ieri Di Maio su Facebook. “Era già successo quando ho denunciato che alcune Ong facevano da ‘taxi del mare’ nel Mediterraneo o quando sono andato a Bruxelles e con i nostri europarlamentari abbiamo scoperto che Renzi aveva svenduto i nostri porti per gli sbarchi, in cambio degli 80 euro. Ed è successo anche quando abbiamo detto che molte cooperative e alberghi stavano facendo la loro fortuna sull’immigrazione”.

  
Lunedì Di Maio ha concluso il suo tour siciliano insieme a Di Battista, (quest’ultimo ha lanciato il provvedimento “Suca” con il quale “aboliremo le auto blu e i vitalizi e dimezzeremo gli stipendi”). “Il tour siciliano – ha detto Di Maio – mi è servito tanto perché ho avuto modo di parlare con migliaia di persone senza intermediari, senza tv e giornali. Una frase che mi hanno ripetuto spesso in questi giorni è stata ‘la tv ti rende diverso, invece conoscendoti si capisce quanto ci credi e che persona sei’. Quel ‘diverso’ ho provato a chiedere cosa significasse. Per alcuni stava per ‘troppo freddo’, per altri ‘troppo moderato’, per altri ancora ‘antipatico’, per altri ‘troppo politicante’, per alcuni anche ‘insensibile’. In questi venti giorni ho realizzato che forse il mainstream è riuscito a farmi sembrare diverso da come sono”. Di Maio come Jessica Rabbit, insomma: “Io non sono cattiva, è che mi disegnano così”.