Manifestazione dei movimenti per la casa dopo lo gombero del palazzo occupato da rifugiati eritrei e somali in Via Curtatone (foto LaPresse)

Perché la nuova percezione della sinistra è tutta nello scontro tra diritti e doveri

Claudio Cerasa

Dallo sgombero a Roma alla gestione dei migranti. L’ideologia umanitarista che considera un’eresia affiancare la parola legalità alla parola accoglienza è solo la punta di un iceberg, dove in ballo ci sono i prossimi cinque anni dell’Italia

Vale per la storia dello sgombero dei migranti e dei profughi a Roma, a piazza Indipendenza, a pochi metri dalla stazione Termini. Vale per la storia della gestione dei migranti e dei profughi che sbarcano ogni mese sulle coste del nostro paese. Vale per la storia del controllo delle organizzazioni non governative che ogni giorno presidiano le acque internazionali tra l’Italia e la Libia. Vale per ogni storia in cui in mezzo si trova la parola “sgombero”. Vale per ogni storia in cui in mezzo si trova la parola “espulsione”. Vale per ogni storia in cui la parola “legalità” viene messa strumentalmente in antitesi alla parola “umanità”. Vale per tutto questo ma vale anche per molto altro perché alla fine il punto è sempre lo stesso: quello che apparentemente viene spacciato per un semplice e tosto dibattito sull’accoglienza in realtà è qualcosa di più ed è qualcosa che si lega alla definizione di che cosa significhi oggi essere “davvero” di sinistra oppure no. Negli ultimi giorni, sia in occasione del dibattito sul codice Minniti sia in occasione del dibattito sull’intervento della polizia a piazza Indipendenza, un pezzo importante della classe dirigente che rappresenta la sinistra storica del nostro paese ha scelto di portare avanti un’operazione molto spericolata finalizzata a marchiare con il bollino dell’infamia qualunque voce favorevole all’applicazione della legalità rispetto alla gestione dei migranti.

     

Secondo questo schema, chiedere di far rispettare la legge per sgomberare un palazzo occupato in modo abusivo e chiedere di far rispettare la legge per governare l’immigrazione nel Mediterraneo equivale semplicemente, e senza sfumature, a voler ignorare i diritti degli ultimi. In altre parole, a essere dei fanatici razzisti. In diverse circostanze, il fronte ultra umanitarista, molto valorizzato dal giornale storico della sinistra italiana, Repubblica, ha cercato di alzare l’asticella dello scontro dialettico a un livello tale che entrare nel merito delle questioni diventa spesso impossibile. Se sei contrario a considerare poco più di un dettaglio la differenza tra un migrante economico e un profugo alla ricerca di un asilo politico, sei un fascista. Se sei convinto che mettere in campo una buona politica di accoglienza sia possibile solo portando avanti un rigoroso rispetto della legalità, non sei un sostenitore dello stato di diritto, ma sei un apprendista manganellatore. Al di là dei singoli dettagli, il punto vero è che l’ideologia umanitarista non contempla l’immigrazione come un problema del governo. E per questo, quando un governo, per di più guidato da una maggioranza di sinistra, mostra di voler mettere insieme accoglienza e gestione dei flussi può capitare di vedere quello che stiamo vedendo in questi giorni: i volti della legalità vengono trasformati in volti della disumanità e così facendo avere una politica sull’immigrazione diventa automaticamente sinonimo dell’avere una politica contro gli ultimi, contro gli immigrati.

  

A prescindere da quali possono essere le simpatie politiche di ciascuno di noi, oggi non possiamo che riconoscere che nel nostro paese è presente un confronto molto significativo tra la sinistra dei diritti e la sinistra dei doveri. Ed è sintomatico che per la prima volta nella storia recente della gauche italiana la sinistra dei doveri sembra essere in netta maggioranza rispetto alla sinistra dei diritti. Il tempismo con cui uno dei volti storici della sinistra dei diritti, ovvero il compagno Gad Lerner, ha scelto di abbandonare il Partito democratico, proprio negli stessi giorni in cui la politica di gestione dei migranti cominciava a dare i suoi frutti in termini di minori sbarchi registrati sulle coste del nostro paese, è la spia di un problema più grande che si trova alla base dello scontro tra due grandi fronti culturali che esistono nel nostro paese: tra chi considera la gestione legalitaria dei migranti un dovere e chi la considera un ostacolo che impedisce di mettere in campo una sana politica di accoglienza umanitaria. La ragione per cui il ministro dell’Interno Marco Minniti, simbolo di una sinistra muscolare che combatte in modo ordinato l’estremismo umanitario, è diventato l’icona di un progressismo eretico che non intende regalare agli avversari il tema della sicurezza è la spia di una questione più grande che merita di essere analizzata con attenzione e che riguarda un tema cruciale all’interno del quale si trovano tanto la figura di Matteo Renzi quanto quella di Paolo Gentiloni: la nuova percezione della sinistra che esiste oggi nel nostro paese.

 

Potrà piacere oppure no, ma rispetto alla gauche che si è presentata alle elezioni nel 2013 oggi il maggior partito della sinistra, pur con mille contraddizioni, offre delle coordinate nuove che sarebbe da stupidi non mettere a fuoco. La sinistra che si avvicina alle elezioni è una sinistra che sa riconoscere che differenza c’è tra le leggi del cuore e le leggi dello stato, che sa distinguere che differenza c’è tra governare l’immigrazione e farsi governare dall’immigrazione, che sa riconoscere che non tutti gli avversari sono uguali, che sa ammettere in anticipo che non esiste alcun tipo di simmetria tra una destra di governo e un populismo di lotta, che non ha paura a dichiarare la sua lontananza dal protezionismo e la sua vicinanza al mercatismo, che non ha dubbi da che parte stare dovendo scegliere tra garantismo e giustizialismo. La potenza di fuoco scaricata dai Roberto Saviano e dagli Ezio Mauro e Gad Lerner Associati contro la linea del rigore scelta dal governo sul tema dei migranti non è solo un dibattito su quale sia la giusta linea da tenere sulle politiche legate all’immigrazione ma è un dibattito molto più grande in cui al centro di tutto c’è un’idea più complessa e più profonda: che differenza c’è tra l’essere una sinistra di governo e una sinistra di rappresentanza.

 

  

In questo senso, lo sgombero di piazza Indipendenza e la regolamentazione delle Ong sono la punta di un iceberg più grande. Non è solo il confronto tra due modi diversi di intendere il rapporto tra umanità e legalità. È un confronto più importante: la differenza che esiste in Italia tra essere una romantica sinistra dei diritti ed essere una credibile sinistra dei doveri. E il fatto che la parola “dovere” sia diventata una parola non più solo di destra ma anche di sinistra – e il fatto che in Italia esista un’evidente maggioranza trasversale che considera la legalità l’unica forma possibile di umanità – è una delle ragioni per cui, rispetto a cinque anni fa, oggi è più facile immaginare che i principali partiti di governo, quando sarà, possano tornare tranquillamente a confrontarsi con piglio trasversale sui temi che riguardano il futuro dell’Italia.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.