Sbarco a Pozzallo di 433 migranti salvati dall'Ong Moas e dalla Croce Rossa (foto LaPresse)

I demagoghi dell'immigrazione

Giuliano Ferrara

Gli ideologi politici mascherati da filantropi sono fanatici profittatori dell’ansia. Gli sputtanatori degli umanitari mortificano la responsabilità etica. A tutti serve un ripasso di Weber: calcola le conseguenze di ciò che ritieni in tuo dovere di fare

 Il mondo non è e non è mai stato una società filantropica. Senza onore, guerre, conflitti, appartenenza, aspirazione al benessere per sé, desiderio di gloria, emulazione, eroismo, senza una complessa gerarchia di valori che è innestata su una scala diseguale per costituzione e che è sempre cambiata con la storia, dall’epica antica alla Christianitas all’umanesimo borghese moderno, insomma se avessimo in mente solo la eguale dignità degli esseri umani e la necessità di soccorrere i sofferenti con ogni mezzo, saremmo una società primitiva, sottosviluppata, torpida e tristemente eguale nell’impotenza benedicente. L’umanitarismo ottocentesco, legato alla nascita della Croce Rossa, è una evoluzione edificante e insieme realista della complessità secolare e millenaria della vicenda umana, non una ideologia autosufficiente, definitiva, originata come un fiume da un massiccio della bontà e dell’altruismo.

Prendete il punto nove e sette del Codice di condotta delle maggiori organizzazioni umanitarie, elaborato negli anni Novanta: come centri propulsori dell’assistenza umanitaria e del soccorso, ci si riconosce (9) responsabili verso gli assistiti e verso i donatori, tra i quali ovviamente non possono non essere i poteri civili che rendono possibile ogni vera impresa filantropica; e ci si impegna (7) a trovare i mezzi per associare i beneficiari dell’impresa umanitaria alla gestione della stessa. L’indipendenza dalle ideologie e dalle politiche di partiti e stati, dai militari e dalle diplomazie, non significa nemmeno in linea di principio, non parliamo in linea di fatto, isolamento dalle condizioni realistiche del dovere di alleviare soccorrendoli i sofferenti, e la nozione di responsabilità riguarda anche loro, le vittime da riscattare, che non sono, come abbiamo ricordato qui, di recente, da considerarsi come oggetti viventi non umani, strani animali che vivano soltanto del loro dolore, ma come esseri capaci di costruire come possibile le condizioni della loro sopravvivenza e del loro soccorso.

  

Non è tanto questione di legalità, come scrivono in molti, perché la legalità riguarda il cittadino attivo in primo luogo, e la sua fonte di legittimazione, intesa come una scala di regole comuni e valide per tutti, può entrare in collisione potenziale con il “dovere umanitario” verso persone che non hanno mai conosciuto o hanno perso ogni senso della cittadinanza. E’ questione di responsabilità, questione etica più che legale, e un umanitario degno del nome non può prescinderne esattamente come non può un tutore della legge, l’autorità civile. Il rigorista che oppone la norma civile alla vocazione al soccorso si muove su un piano inclinato, e sbaglia. Lo stesso l’umanitario che si considera per principio assolto dai doveri di responsabilità e dalla realistica consapevolezza che i mezzi della morale non sono gli stessi della legge, ma la morale ha i suoi mezzi, tra i quali appunto i codici dell’intervento umanitario. 

Poi ci sono i demagoghi, una spregevole razza di profittatori dell’ansia da prestazione benevola o al contrario della paura sociale verso il disordine che è parte della vita della città. I primi si autocomprendono come angeli del bene, sono dei fanatici insofferenti verso ciò che circonda necessariamente l’intervento per arginare il disastro, e spesso sono degli ideologi politici mascherati da filantropi. Se la fai fuori del vaso, e ne viene morte per gente innocente, come avvenuto spesso (basti pensare al caso del rapimento Mastrogiacomo, che si complicò con l’intervento arrogante e ambiguo di Emergency e di Gino Strada, o allo stesso caso della giornalista del manifesto Giuliana Sgrena), ecco che tutta la prospettiva umanitaria si fa opaca. I secondi agiscono per confondere le acque, per sputtanare gli umanitari, per indurre le popolazioni da cui dipende il loro consenso politico a reazioni emotive, genericamente e falsamente rigoriste, nel segno della autotutela e del menefreghismo verso i doveri di soccorso.

  

Per questa razza di demagoghi l’umanitarismo è un traffico con il male, laddove per la prima è la configurazione assoluta e dunque irresponsabile del bene, lontana dal criterio di responsabilità etica e ad esso avversa nonostante si ammanti di paroloni umanitari molto più simili, spesso, a piattaforme ideologiche e politiche. L’etica della convinzione weberiana (fa’ quel che devi e dimentica le conseguenze) vale per la coscienza individuale. Per il governo umanitario del soccorso vale l’etica della responsabilità: ricordati di calcolare tutte le conseguenze di quello che ritieni in tuo dovere di fare. Jugend rettet è una organizzazione, non una coscienza individuale.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.