Il leader della Lega Nord, Matteo Salvini (foto LaPresse)

La tela leghista di Giorgetti, ovvero come far parlare tedesco a Salvini

Redazione

Ecco che succede nella Lega che si fa un po’ meno eurofobica. C’è del metodo, e dipende dal vicesegretario

Roma. Nella Lega si dice che Giancarlo Giorgetti, deputato alla quinta legislatura, ex capogruppo, ex presidente della commissione Bilancio, ex saggio quirinalizio ai tempi delle tentate riforme con Napolitano presidente, bocconiano (dunque ultra alfabetizzato), già architetto di retrovia ai tempi d’oro di Umberto Bossi sovrano, abbia una specie di radar incorporato, una capacità quasi rabdomantica di prevedere i capricciosi riassestamenti del potere, di anticipare insomma terremoti e rivolgimenti, siano questi carismatici o ideologici, interni al suo partito. Giorgetti fu infatti bossiano, poi opportunamente maroniano, infine, negli ultimi anni, ha saputo rendersi indispensabile anche a Matteo Salvini, quando il giovane e baldanzoso padano si è eretto al ruolo di segretario federale. E d’altra parte Giorgetti è uno dei pochi che studia, conosce e ha buone relazioni e trasversali. Così non sono certo passate inosservate le sue recenti uscite pubbliche, l’intervista al Corriere della Sera, e poi la partecipazione un paio di settimane fa alla presentazione – con Mario Monti – del libro dell’economista Veronica De Romanis, una studiosa che i populisti eurofobici definirebbero tecnocratica e merkeliana. “L’uscita dall’euro è un facile slogan”, ha detto Giorgetti quel giorno, poco prima di esprimere parole di limpido elogio per la conduzione della Bce ai tempi di Mario Draghi, e mentre Mario Monti – c’è anche un video su YouTube, vedere per credere – annuiva con la testa, sorridendo. Tutta una scena che vale molto più di un congresso. Domenica, infine, è arrivata l’intervista di Giorgetti al Corriere: voi volete uscire dall’Europa? “Non siamo sciocchi, sappiamo bene che questo apre questioni delicate. La cosa giusta, non mi pare rivoluzionaria, è riscrivere i trattati: è possibile non uscire dall’euro purché si riscriva Maastricht”. Boom! Quattro anni di eurofobia salvinista spazzati via in poche righe.

 

E ovviamente tutto questo è precipitato sulla Lega, nel suo carsico e preoccupato dibattito interno, con la forza di un fenomeno naturale, una grandinata o un temporale. E’ un golpe silenzioso contro Salvini? Si sono chiesti. O forse, piuttosto, Giorgetti sta aiutando il povero segretario della Lega a uscire dall’angolo oscuro nel quale era finito assieme all’ideologo del no euro, il semi-scomparso Claudio Borghi? Quasi tutti nel partito, quelli che sanno, che conoscono, e tastano il polso del Consiglio federale, propendono per questa seconda interpretazione. Non può essere infatti Salvini a fare inversione a U, non da solo, non subito, non d’improvviso. Il segretario federale le ha sparate troppo grosse, in questi anni, per potersi rimangiare tutto, tutto in una volta, e senza essere aiutato a piccoli bocconi. La manovra è complicata, ma l’inversione è inevitabile.

 

D’altra parte il lepenismo non tira più come prima (persino l’originale, Marine, ha perso in Francia) e inoltre l’alleanza di centrodestra con Silvio Berlusconi (comprese le ambizioni di leadership totale coltivate da Salvini sulla coalizione) funziona solo consegnandosi – come disse in tempi non sospetti un osservatore informato come Bruno Vespa – a una “opportuna revisione ideologica”. Il che significa ammorbidire – per gradi – le posizioni anti euro, recuperando con forza quel segmento di mercato elettorale di destra e securitario che invece ancora funziona, e consente notevoli punti di contatto con Forza Italia: l’immigrazione. Ed ecco allora che arriva il salvifico Giorgetti, vicesegretario della Lega, bocconiano, uomo potente nel partito (è a lui che risponde praticamente tutto il gruppo parlamentare della Camera), a semplificare per quanto possibile l’ardita ma improrogabile manovra. Zaia e Maroni sono solidali, e sollevati. Alla Lega no euro non hanno mai creduto. E considerano imprescindibile l’alleanza con il resto del centrodestra con il quale governano (e vogliono continuare a governare) sia il Veneto sia la Lombardia.

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