LaPresse /Roberto Monaldo

Salvini problemini

Fabio Massa

I 135 voti presi da Matteo nei gazebo di Milano sono tanti o pochi? Nomenklatura e Maroni

Matteo Salvini si può consolare. Sarà l’età, sarà un certo latente affetto, ma al vecchio fondatore, Umberto Bossi, non è riuscito di partorire un insulto dei suoi tempi migliori. Di Andreotti disse che era l’unico gobbo che portava sfortuna, Mario Segni lo appellò di “signor Pirletti”, a Mino Martinazzoli rispondeva “con un rutto”, per concludere con l’ex primo amore, il professor Gianfranco Miglio, “una scoreggia nello spazio”. Fino all’arrivo di un insulto come si deve, Salvini non ha di che preoccuparsi, visto che pare proprio che il Senatùr minacci l’uscita, senza poi però davvero aprire la portiera. Certo, Roberto Bernardelli, uno che con Bossi se le cantò in lungo e in largo, ai tempi, finendo per epurarsi da solo, e che adesso con il vecchio flirta di nuovo, organizzerà il 27 maggio nel suo milanese Hotel dei Cavalieri il lancio del nuovo movimento politico. Difficile però che riesca a imbarcare anche Bossi.

    

Ad ogni modo, Bossi non costituisce problema, per Salvini (“se se ne va, meglio”, mormora il Capitano). I fedelissimi raccontano che ha già la testa altrove, ai problemi veri. La segreteria federale, per esempio, che andrà pesantemente rivista. Una squadra che non si può limitare soltanto a Giancarlo Giorgetti, come è avvenuto negli anni scorsi. E poi l’ossessione del rinnovamento. Oddio, sarà che Matteo vuol copiare l’altro Matteo, ed entrare pure lui con il lanciafiamme nelle sezioni? I suoi fedelissimi raccontano di no. Però, insomma. Di fatto vuole completamente smontare la piramide rigida creata proprio da Bossi, ossessionato dalle scalate dei parvenu. Si notino due casi di scuola salviniana. Il primo, quello di Laura Guzzi, responsabile giovani della Lega. Tutti i giorni organizza banchetti e iniziative, ma essendo militante solo da un anno o poco più non ha potuto votare al congresso (non chiamiamole primarie, è meglio) aperto solo a chi aveva tre anni di militanza. Il secondo, quello di Ettore Adalberto Alberoni, che è ancora militante a Milano, che abita sopra Como e che di fatto nell’operatività della Lega di oggi pare sia sparito. E che al congresso poteva votare. Il concetto è semplice: aprire la Lega alle nuove leve. Ovvio che le vecchie, di leve, possono anche preoccuparsi. E fin qui, tutto bene.

    

Il problema è che Matteo Salvini dovrebbe preoccuparsi, di Milano. Perché Milano è la sua città e indubbiamente a Milano conta, seppur in coabitazione con Roberto Maroni, ma – dati alla mano – sotto la sua Madonnina Salvini ha preso per l’esattezza 135 (centotrentacinque, non centotrentacinquemila) voti, mentre 60 li ha presi lo sfidante Gianni Fava, 3 sono state le nulle e una bianca. In totale a Milano hanno votato il 75 per cento degli aventi diritto. E Milano si è confermata la quarta provincia padana nella quale Gianni Fava è andato meglio. Questi sono i numeri. E checché se ne dica non sono buoni, anche se in linea con quelli della volta scorsa. Poi c’è la situazione della dirigenza, anche questa alquanto complicata. C’è il segretario nazionale Paolo Grimoldi che è salviniano, ma con l’occhio attento. C’è il segretario provinciale Davide Boni che è sempre stato molto vicino a Fava, con il quale pure aveva litigato (Mantua genuit entrambi). C’è il consigliere comunale Massimiliano Bastoni che è stato pancia a terra con l’avversario di Salvini. E soprattutto c’è Roberto Maroni, contro il quale l’ex-neo segretario non ha esitato un minuto a tirar fuori l’ascia di guerra, dopo la rielezione, scompaginandogli le carte sulle alleanze per le prossime regionali. Maroni ha abbozzato, ma sta masticando amaro, e gli sherpa sono partiti nel paziente lavoro di ricucitura. Anche perché, raccontano i pacieri, Salvini deve sapere che non può imporre tutti i candidati a Maroni, perché l’asset vincente in Lombardia è il governatore; ma Maroni deve sapere che si avvicina la stagione delle sentenze, sia la sua che quella di molti consiglieri regionali. E insomma, un puntello da parte del Movimento potrebbe servire, considerato che il vento soffierà forte (specie sui consiglieri leghisti).