Beppe Grillo e Davide Casaleggio (foto LaPresse)

La democrazia grillina è solo plebiscitarismo tecnologico

Lorenzo Castellani

Gli iscritti decidono solo quando il capo Grillo e la tecnostruttura della Casaleggio Associati ritengono sia giusto dargli la possibilità di farlo

“La democrazia diretta non è il populismo”, sostiene giustamente il giurista Cass Sunstein nell’intervista al Foglio della scorsa settimana. La democrazia diretta viene intesa, nel senso comune, come un semplice allargamento della decisione a un maggior numero di persone. Questa definizione è la variante “classica” del concetto, cioè derivante dalla democrazia degli antichi, che è stata ripescata dalle forze anti establishment e sviluppata attraverso le tecnologie informatiche, più che da ogni altro partito, dal Movimento 5 stelle.

 

 

Quella grillina, però, è la versione assemblearista e antiparlamentarista della democrazia diretta. Il blog, gli utenti in rete, votano e decidono sulle proposte programmatiche e gli affari interni del movimento politico. Si tratta di un tipo di democrazia octroyée, cioè concessa agli iscritti quando il capo Grillo e la tecnostruttura della Casaleggio Associati ritengono sia giusto ricorrervi. In questa tipologia di democrazia diretta, il popolo viene chiamato a svolgere più funzioni: proporre, votare, decidere attraverso varie consultazioni, plebiscito incluso. La democrazia grillina ha due tipi di problemi: la prima è che gli iscritti effettivamente decidono, senza regole precise, solo quando i titolari del marchio e del sito lo stabiliscono, la seconda è che la disintermediazione è totale, o voleva esserlo nelle intenzioni, saltando del tutto il concetto di classe politica che è fondamentale per il funzionamento delle democrazie liberali, e mettendo in connessione diretta il capo carismatico e il popolo. Se questo modello decisionale venisse esportato a livello istituzionale significherebbe, probabilmente, il sistematico commissariamento del Parlamento e la sua sostituzione con un plebiscitarismo tecnologico tra i leader politici dei 5 stelle e i cittadini.

 

Esiste, tuttavia, una seconda versione delle democrazia diretta anche detta “deliberativa”. Ed è quella di cui parla Cass Sunstein. In Italia, il primo a intuirne le potenzialità fu il politologo Gianfranco Miglio, il quale già nel 1990 parlava della sistematizzazione di referendum consultivi sulle questioni amministrative. Un’idea che poi è stata ripresa, nel corso degli anni, da altri importanti studiosi come Sabino Cassese. In questa seconda tipologia di “democrazia diretta”, il popolo non è chiamato a decidere, ma viene consultato per saggiarne opinioni e interessi. In sostanza, i cittadini non restano fuori dai palazzi del potere ma non ne invadono nemmeno disordinatamente le stanze come nella versione grillina. Un’iniziativa di questo genere si trova, ad esempio, nel nuovo Codice Appalti varato nel 2016, che introduce nelle procedure per la realizzazione delle opere pubbliche il “debat publique”, ossia la consultazione dei cittadini interessati dall’iniziativa pubblica. In queste occasioni, gruppi di cittadini di orientamenti molto diversi possono esprimere la propria opinione alla classe politico-burocratica e confrontarsi tra di loro. Come sottolinea Sunstein nel suo ultimo lavoro, con la democrazia deliberativa si passa dalle camere dell’eco, in cui i cittadini incontrano solamente idee simili alle loro che favoriscono la polarizzazione come nel caso dei social network, alle camere di conversazione, in cui cittadini da idee radicalmente diverse possono dialogare tra loro cercando una sintesi “di centro”. Inoltre, questo secondo tipo di democrazia diretta ha anche una valenza ai fini del miglioramento dell’amministrazione pubblica.

 

 

Infatti, attraverso sondaggi mirati, opinion poll, sistemi telematici di valutazione dei servizi le amministrazioni, e i governi, possono raccogliere dati e informazioni per sviluppare nuove politiche, implementarle o migliorarne le performance. L’affermarsi di queste pratiche fornirebbe anche al Parlamento un nuovo senso d’esistere, cioè quello di controllare l’azione di governo e le politiche da questo prodotte, piuttosto che ingolfarsi di provvedimenti legislativi. Come sottolinea il politologo francese Rosanvallon, le assemblee parlamentari delle democrazie contemporanee si occuperanno sempre meno di fare le leggi e sempre di più di controllarne l’applicazione, valutarne i costi, verificare le procedure messe in campo dal governo. C’è una democrazia diretta che porta dritti al plebiscitarismo e una che può migliorare il rendimento delle istituzioni. La prima è meglio che rimanga fuori dagli uffici del governo, la seconda è un metodo con cui studiosi, amministratori e politici dovranno iniziare a cimentarsi da subito con profitto.