Beppe Grillo (foto LaPresse)

L'ozio dei popoli

Giuliano Ferrara

Il revenu de base, per dirla con Benoît Hamon, sembra fatto per garantire un diritto all’ozio. Ma senza lavoro produttivo e con un reddito garantito a tutti c’è una libertà condizionata, cioè una non libertà. Da brividi, no?

Ho visto che anche Renzi nel lodevole tentativo di reinventarsi ha socchiuso la porta all’idea di una estesa protezione salariale dei cittadini a carico dello stato. Io adoro lo stato, che ha sovvenzionato enti di alta cultura come La Scala e il Foglio per sopperire al loro carattere di soggetti estranei al mercato (cinque ore di Wagner e cinque ore per leggersi bene il Foglio del sabato più o meno si equivalgono), facendo cosa buona e giusta. Ma sul salario universale bisogna intendersi. Ai maestri scaligeri e ai giovani maestri foglianti è stato consentito di lavorare sodo, il reddito di cittadinanza, per esprimermi con la formula grillina, o revenu de base, per dirla con il socialista francese Benoît Hamon, sembra fatto apposta per garantire il diritto all’ozio. Una cosa in sé nobile, l’ozio, che piaceva al genero di Karl Marx.

 

Una battuta? Mica tanto. La proposta significativa, il resto è roba da mezze calzette, è quella di un salario universale diretto, come il suffragio. One man, one income. Basic income, dunque. Non uno stipendio faraonico, ma quattrini a vita per tutti i cittadini e i residenti in quantità sufficiente a garantire una vita sulla soglia del possibile a ogni singolo individuo. Quoziente individuo, altro che famiglia, e senza sottilizzare sul reddito di chi lo riceve. Gli antenati della proposta sono nobili, da Tom Paine, che escogitò un suo meccanismo di redistribuzione della proprietà agraria per finanziare la giovane e la terza età, come leggo su Google, a Milton Friedman, che lo immaginò come imposta negativa. Ma queste sono sottigliezze importanti, su cui sono al lavoro da anni fior di specialisti, ma sottigliezze rispetto al grosso e spesso problema. Che non è solo: chi paga?, visto che allo stato il basic income costerebbe circa un quarto del pil, una cifra mostruosa. E’ anche: che fine fa quel vecchio arnese ideologico alla base dello sviluppo moderno, cioè il lavoro? Dico vecchio arnese ideologico perché voglio essere alla moda, sintonizzarmi, connettermi. Sappiamo tutti che il lavoro è stato riformato e lo sarà ancora di più in futuro dall’evoluzione di tecnologia e demografia: sempre meno indispensabili, certi lavori, e sempre più vecchi molti lavoratori. Ma la scommessa, pareva ai liberisti sfrenati, è che l’innovazione digitale e l’automazione incrementino la produttività cosiddetta totale dei cosiddetti fattori in modo tale da consolidare e allargare la base produttiva e dell’occupazione. In modi oggi solo in parte prevedibili, ma direttamente proporzionali all’aumento della ricchezza e delle occasioni sociali in un mondo liberato dalla schiavitù del lavoro povero di contenuti e abbrutente (mia madre citava sempre: il lavoro nobilita l’uomo e lo rende simile alla bestia).

Se questa scommessa è perduta, e solo tecnici inclini alla magia sono oggi in grado di evocare il futuro risultato dell’azzardo, allora va bene, diamola per perduta e favoriamo a colpi di ingegnosi ritrovati finanziari, o a colpi di tasse, eguaglianza e fraternità, i due pilastri della rivoluzione illuminista e framassonica. Mi resta qualche preoccupazione per il terzo pilastro, la libertà. I liberisti libertari concepiscono la libertà come mercato, e pensano che se lo stato si sobbarchi la tutela universale come garanzia dal lavoro, vabbè, gli spiriti animali e acquisitivi dell’uomo faranno comunque supplenza, e la lotta di classe sarà davvero un fantasma del passato, il libero gioco del mercato si può permettere anche questa nuova trasformazione dei cittadini in sudditi. Io sono un vecchio socialdemocratico liberisticamente riformato e continuo a pensare che il lavoro è uno strumento di autonomia personale irrimpiazzabile nel medio periodo (nel lungo periodo saremo tutti morti, come diceva JMK). Senza lavoro e con un reddito garantito per cittadinanza a tutti vedo una libertà condizionata, cioè una non libertà. Non era la religione l’oppio dei popoli, era il basic income.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.