Virginia Raggi (foto LaPresse)

I nemici di Raggi

Marianna Rizzini

Le dimissioni di Paola Muraro e la sindaca di Roma sempre più “guardata a vista” dal M5s

Roma. Non è una natura morta, ma il fermo immagine del video in cui Virginia Raggi, sindaco di Roma, annuncia nottetempo le dimissioni di Paola Muraro, assessore all’Ambiente da tempo sotto osservazione della magistratura e ora ufficialmente indagata, ha qualcosa di molto simile a un quadro settecentesco con fruttiere illuminate da luce lugubre. E lugubri sono le facce dei consiglieri, immobili mentre Raggi dice, muovendo soltanto mezzo muscolo facciale, di aver “accettato le dimissioni dell’assessore Paola Muraro”, destinataria di “un avviso di garanzia per presunte violazioni del testo unico ambientale”. E così, all’una e mezzo della notte, si consuma l’ulimo atto – ultimo in ordine di tempo, ma non atto finale – della pièce che fin dall’estate vede i Cinque Stelle alle prese con il seguente dilemma: sostenere il sindaco di Roma, rischiando di finire nella polvere se l’andazzo non migliora (viste le vicissitudini della giunta decimata) oppure farsi percepire dall’elettorato come “altro da Raggi”, viste anche le elezioni politiche imminenti? Intanto si fa un po’ finta di trasecolare, anche se il caso Muraro non è cosa d’oggi. Ma siccome è oggi che tocca farsi vedere intransigenti, pena il pagamento del pegno nella futura urna, ecco che la sindaca, all’una di notte, su Facebook, si fa volto inflessibile (assume le deleghe alla sostenibilità ambientale ma non fa mostra di voler in qualche modo entrare nel merito). Il tutto dopo consultazione telefonica con Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera che, in settembre, su un palco, in quel di Nettuno, con gli occhi di Beppe Grillo e dei colleghi puntati addosso, aveva dovuto fare mezza ammenda: “…Ho sottovalutato il caso Muraro”.

 

Momenti drammatici, ma anche momenti in cui plasticamente è risultata evidente la spaccatura interna al Movimento (non solo romano), con gli anti-Raggi alla carica e i pro-Raggi in ritirata, e Alessandro Di Battista nume tutelare in mezzo, nelle sacche della campagna centaura – in moto per l’Italia – per il No al referendum. A “Otto e mezzo”, infatti, un Di Battista sibillino aveva detto: “Virginia ha sbagliato nel primo mese da sindaco a non spiegare la gravità della situazione…”, ma che a quel punto la stessa Virginia era “autonoma”, e a lei dunque dovevano andare “onori e oneri”. Molti amici apparenti ha avuto Raggi in campagna elettorale, tanto che la sera del primo turno non si contavano i parlamentari e gli attivisti romani a Cinque Stelle accorsi in un cortile non distante dal Gazometro (quartiere Ostiense), come per proteggere la candidata minuta che, sempre a tarda notte, affrontava la prima conferenza stampa da quasi-sindaca in corsa contro Roberto Giachetti. E però era già illusione ottica. Lo si capì ben presto, ai post di Roberta Lombardi contro le nomine della sindaca (in particolare Raffaele Marra e Salvatore Romeo), ma la ruggine veniva da lontano, e precisamente dalla precedente lotta interna di candidature, roba da “Idi di marzo”, il film di George Clooney sulle manovre pre-primarie americane.

 

 

E insomma a un certo punto si era verificato il ribaltone: non più candidato l’ex candidato sindaco a Cinque Stelle (del 2013) Marcello De Vito, sponsorizzato dalla deputata e plenipotenziaria romana Roberta Lombardi, bensì lei, Virginia. E, al momento della vittoria, Virginia non aveva nominato a vicesindaco De Vito, puntando allora per quella carica sul suo braccio destro Daniele Frongia. E anche se De Vito era diventato poi il presidente dell’assemblea capitolina, il casus belli c’era già tutto. Poi, le nomine dei suddetti Salvatore Romeo a capo della segreteria e di Raffaele Marra a vice capo di gabinetto, prima, e di capo del personale, poi (su di lui indaga l’Anac di Raffaele Cantone), avevano fatto da detonatore alla lotte sommerse. C’era chi gridava “no ai giri ex alemanniani”, e chi più semplicemente punzecchiava la sindaca per scarsa efficienza, anche dalle propaggini di quello che era stato chiamato “minidirettorio” (organismo di affiancamento-Raggi poi rivelatosi boomerang anti-Raggi, composto da Paola Taverna, Fabio Massimo Castaldo e da Gianluca Perilli).

 

E insomma, quando, a inizio settembre, al deflagrare del “caso Muraro”, si erano dimessi l’assessore al Bilancio Marcello Minenna, il capo di gabinetto Carla Raineri e i vertici di Ama e Atac, non soltando si era scatenata l’antica nemica Lombardi, poi autrice di post anti-Marra (definito “virus che ha infettato il Movimento”), ma anche il deputato di M5s Mimmo Pisano e i “big” del fu Direttorio Roberto Fico e Carlo Sibilia. Beppe Grillo, finora, a parte il letterale inciampo per via di una buca durante una visita a Roma, ha cercato di non scaricare la sindaca scomoda, ma si sa che Roma non può essere tralasciata come problema (elettorale) in prospettiva. Marianna Rizzini Dopo le dimissioni dell'assessora all'Ambiente Paola Muraro, a quanto si apprende, il Campidoglio avrebbe già pronto un piano 'B'. Piano che non esclude, qualora la situazione si concludesse positivamente per l'ormai ex assessora, un suo ritorno a Palazzo Senatorio. Così come resta in campo l'ipotesi di una sua sostituzione tra una rosa di nomi su cui il Campidoglio sarebbe già al lavoro.

 

La sindaca Virginia Raggi martedì, dopo la notizia delle dimissioni della Muraro, ha subito convocato in Campidoglio un vertice con la sua maggioranza informando i consiglieri M5S di aver accettato le dimissioni dell'assessora, destinataria di un avviso di garanzia, e di tenere le deleghe almeno temporaneamente. Scelta di cui, a quanto si apprende, la sindaca avrebbe informato anche Beppe Grillo contestualmente alla riunione di maggioranza. In sostanza, Raggi avrebbe deciso di tenere le deleghe all'Ambiente in attesa degli sviluppi giudiziari, mantenendo in questo modo una linea garantista ma allo stesso tempo tenendo fede al tacito accordo con i cittadini sulla linea della trasparenza. 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.