Il sindaco di Roma Virginia Raggi (foto LaPresse)

Ecco perché in Campidoglio comandano i sindacati

Marco Sarti

La mensa dell’Atac e le assunzioni, lo strapotere clientelare e la sudditanza della politica

Roma. I dipendenti comunali e quelli delle municipalizzate sono sessantamila. Un esercito inquadrato nella sola Atac – l’azienda dei trasporti pubblici che ha ben dodicimila stipendiati – in quasi quindici differenti sigle sindacali. Più di un sindacato ogni mille dipendenti. Considerando coniugi e figli si arriva a circa centocinquantamila persone. E’ un bacino elettorale organizzato e decisivo per ogni aspirante sindaco della Capitale. Per essere eletti non si può prescindere da questo pacchetto di voti. E senza l’appoggio dei dipendenti pubblici, e dei loro mille sindacati, non si governa. Chi si aspetta scelte di razionalità riformista da parte della classe politica rischia di rimanere deluso. E l’amministrazione Cinque Stelle di Virginia Raggi non fa eccezione alla regola.


Roma, sciopero dei mezzi pubblici del Tpl (foto LaPresse)


“Assessore, che possiamo fare per lei?
Ogni giorno in Campidoglio un dipendente su quattro non si presenta al lavoro. Impiegati nei municipi, vigili urbani, insegnanti d’asilo… Un tasso di assenteismo che – si legge in un rapporto della gestione commissariale di Francesco Paolo Tronca – raggiunge il 23 per cento. Non è poco, considerando i quasi ventiquattromila dipendenti della sola amministrazione comunale. In pratica tra malattie, permessi sindacali, percorsi di formazione e ferie, quotidianamente oltre cinquemila persone non timbrano il cartellino. “Roma è la capitale della clientela e della consociazione”, dice il senatore Stefano Esposito a cui bastò poco tempo per farsi un’idea precisa di quello che accade in città. Torinese, nell’estate 2015 entrò a far parte della giunta Marino. Nominato assessore ai Trasporti poco prima della burrascosa conclusione di quella amministrazione. “C’è un sistema che si regge da molti anni, le principali responsabilità appartengono alla politica e ai sindacati”, dice. “Assunzioni, trasferimenti, scatti di carriera: tutto deve passare da lì. Ero appena diventato assessore e incontrai un importante dirigente dell’Atac. Senza girarci troppo attorno mi disse: “Che possiamo fare per lei? Ha dei nomi da darci?”.

 

Mille connessioni familiari o di amicizia
Gestioni opache e illegalità all’ombra del Cupolone. Al centro dell’ultimo caso, raccontato in questi giorni dalle cronache locali, una presunta compravendita di posti di lavoro avvenuta alcuni anni fa in Ama (la municipalizzata dei rifiuti), con l’interessamento di un esponente sindacale. “La magistratura deve andare fino in fondo” racconta Natale Di Cola, segretario generale Fp Cgil Roma e Lazio. Il rappresentante della Cgil ci tiene a marcare le distanze. “È vero, a molti manca il rigore etico”, spiega. “Per quanto ci riguarda, nei procedimenti disciplinari non difendiamo mai i casi di assenteismo conclamato e di assunzioni illegittime”. Sotto la dirigenza di Marco Rettighieri, l’ex direttore generale di Atac dimessosi la scorsa estate per incompatibilità con la nuova giunta Raggi, sono state riscontrate tra i dipendenti – su un totale di dodici mila lavoratori – circa mille connessioni familiari e di amicizia. “Basta guardare alcuni concorsi, è pieno di selezioni pilotate”, raccontano nei corridoi.

 

“Quando sono diventato assessore, molti dirigenti sindacali hanno voluto incontrarmi”, ricorda Esposito. “A ciascuno chiesi come aveva fatto ad entrare in azienda. Ebbene, nessuno di loro era stato assunto per concorso. Ecco la clientela e la consociazione”. Nessuna generalizzazione, certo, la difesa dei lavoratori resta un principio sacrosanto. Ma le degenerazioni del sistema un po’ meno. “Il sindacato è uno dei capisaldi della democrazia – dice Esposito – Ecco perché vedere alcune realtà al servizio di questo sistema opaco mi fa contorcere le budella”.


Nei pochi mesi in cui rimase in carica, l’ex direttore generale di Atac Rettighieri avviò un’importante azione di risanamento oggi tuttavia abbandonata dalla giunta Raggi. Rettighieri presentò almeno cinque esposti in Procura. Al centro delle segnalazioni una serie d’illegalità e stranezze riscontrate in azienda, alcune direttamente riconducibili al ruolo dei sindacati. Da quei dossier è emersa la vicenda del servizio mensa: gestito, grazie ad accordi sindacali, dal Dopolavoro, a cui l’Atac versava ogni anno oltre quattro milioni di euro. In Atac i sindacati gestiscono persino la mensa, insomma. Ma non solo.


Marco Rettighieri (foto LaPresse)


Le segnalazioni di Rettighieri
Nelle segnalazioni di Rettighieri si parlava anche di un abuso abnorme dei distacchi sindacali. Si descriveva un sistema strapotente, ai danni dell’efficienza, del buon servizio e della corretta amministrazione della cosa pubblica. Nel 2015, raccontano le carte, una sigla sindacale ha usufruito addirittura di seimila ore aggiuntive rispetto ai permessi concordati. Aggiungendo un evidente danno economico a un’azienda dai conti già disastrati e dal servizio inadeguato. Tuttavia il problema è avvertito anche dall’interno di alcuni sindacati. Lo scorso anno la Fp Cgil ha organizzato dei corsi di whistleblowing dedicati ai dipendenti, “per aiutare chi vuole denunciare illegalità”, dice Di Cola che difende l’operato del sindacato – almeno il suo – a partire dall’ultima vertenza sul salario accessorio in Campidoglio, sbloccata a novembre dopo un lungo braccio di ferro con l’amministrazione.

 

Impossibile mandare i vigili in strada
Ma il tempo passa, i sindaci si avvicendano, le degenerazioni restano. E le conseguenze le pagano soprattutto i cittadini. Lo strapotere corporativo produce infatti disfunzioni, a tutti i livelli. Racconta Alfonso Sabella, assessore alla Legalità nella giunta Marino e titolare della delega alla Polizia Locale nell’ultima fase dell’amministrazione: “All’inizio trovai una sostanziale correttezza da parte dei sindacati. C’era una certa disponibilità, per esempio tra i vigili urbani. Mi sembrava di capire che si volessero confrontare sui problemi del Corpo”. Nella notte di Capodanno del 2015, settecentosessantasette vigili non presero servizio accusando una serie di problemi di salute. “Dopo quel fatto mi sembrava si rendessero conto che la loro immagine a Roma non era particolarmente apprezzata”, per così dire. Ma non appena Sabella propose di istituire una centrale unica operativa e accorpare alcuni dei diciannove gruppi – “Per togliere alcuni vigili dagli uffici e mandarli in strada” – arrivarono le prime difficoltà. Il vero scontro si consumò sulla rotazione territoriale. “Una scelta fondamentale per combattere la corruzione – continua Sabella – Tanto che nei municipi dove siamo riusciti a mandare personale nuovo abbiamo registrato un importante incremento delle sanzioni. A quel punto, però, ho iniziato a trovare grandi ostacoli”. E oggi la situazione non è granché cambiata.

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