Ignazio Marino ospite della trasmissione "In 1/2 ora" (foto LaPresse)

Il pazzo tentativo di far dimenticare il Marino sindaco con il Marino marziano

Marianna Rizzini
Ovunque ci si giri c’è l’ex sindaco che si solleva, s’inalbera, s’indigna e soprattutto fa intendere che nessuna Africa lo aspetta. E anche se non vuole mai più fare il sindaco di Roma è lusingato se qualcuno pensa che potrebbe fare il sindaco di Genova.

Roma. La resilienza del Marziano. Di questo si parla oggi, e cioè del fare muro (anche fuori tempo) di Ignazio Marino, ex sindaco di Roma che ci teneva a definirsi extraterrestre in tempi in cui la sola parola faceva salire al cielo le quotazioni del populismo urbano allora arrembante tra la sua Roma, la New York di Bill De Blasio e la Napoli di Luigi De Magistris (era il momento delle citazioni dickensiane – mai più “tales of two cities”: poveracci di qua e benestanti di là – e delle tentazioni ciclistico-catartico-pedonalizzanti con venature anticasta. E oggi che Marino è stato assolto dall’accusa di falso, truffa e peculato nella cosiddetta “inchiesta-scontrini” ci si aspetterebbe di vederlo tranquillo, rasserenato, distante dalla scena del crimine non commesso come neanche un Walter Veltroni che, nei giorni di massima virulenza dello scontro referendario, fa l’autore per lo show del sabato sera su Rai1. I

 

nvece no: Marino c’è, Marino combatte, Marino sfida gli invisibili nemici acquattati nell’ombra come fossero i giorni peggiori (quelli delle dimissioni minacciate, annunciate e ritirate), e non i giorni dolci del favorevole verdetto giudiziario. Ovunque ci si giri, infatti, che sia il Corriere della Sera o lo studio di Lucia Annunziata a “In mezz’ora”, c’è l’ex sindaco che si solleva, s’inalbera, s’indigna e soprattutto fa intendere che nessuna Africa lo aspetta. E anche se non vuole mai più fare il sindaco di Roma, così pare, è lusingato se qualcuno pensa che potrebbe fare il sindaco di Genova (per non dire del convitato di pietra al post-referendario congresso del Pd). E poi c’è il libro (il suo), il pamphlet diaristico sugli ultimi mesi che sconvolsero Roma (la sua), quel volume dal titolo omonimo (“Il marziano a Roma”, ed. Feltrinelli) uscito in primavera ma pronto al secondo giro di riscossa. Ed è qui che il Marino resiliente, per non dire resistente, si scatena (frase chiave: “Che cosa aspetta Matteo Orfini a dimettersi?”).

 

“Con la nostra giunta abbiamo fatto in dieci giorni quello il M5s prova a fare in 150”, è stato il ritornello dell’autopromozione ex post, ché Marino, nel libro e fuori dal libro, è un fiume di purezza ricostruita a mezzo taccuino (il suo, quello su cui annotava per filo e per segno qualsiasi cosa capitasse nelle stanze del Campidoglio da cui mai usciva senza spegnere la luce, da sindaco energeticamente risparmioso e virtuoso quale voleva essere). E insomma, nella confusione del “sì” e del “no” al referendum, e nell’infuriare della direzione del Pd, il Marziano riporta tutto alla vicenda giudiziaria (e ci mancherebbe: è stato assolto), ma pare dimenticare il resto, e cioè i due anni da sindaco di Roma, non proprio universalmente riconosciuti come anni da sindaco-modello. E mentre il Marino del dopo-scontrini si prepara alla rinvincita libraria con modi anche simpaticamente teatrali (e climax oratorio sulle forze politiche “sbeffeggianti”), il Marino d’antan viene ricacciato sotto al tappeto. Eppure c’è.

 

E’ il Marino che nel 2013 iniziava il mandato “cavalcando lungo i Fori pedonalizzati”, come diceva il professor Luciano Canfora; è il Marino che nel 2014, al deflagrare dell’inchiesta “Mafia Capitale”, con il mondo romano che veniva giù, semplicemente si scansava al grido di “io non c’entro”. Ed era vero, solo che era pur sempre il sindaco, lui, per giunta con un responsabile Trasparenza e un assessore alla Casa indagati, motivi sufficienti magari per incazzarsi e dire qualcosa di diverso dal suddetto “non c’entro”?

 

Ma niente: Marino, più che come un marziano, si aggirava per la città come un reduce dall’apocalissi nucleare, stralunato, anzi “ostacolato” (e il suo “ecco perché mi ostacolano” – pensiero sottinteso “perché c’è la mafia capitale” – diventava scudo dalla pioggia di meteoriti per colui che si descriveva come fatto d’altra materia rispetto al mondo marcio attorno a lui. Poi c’era il Marino dei mille curriculum e dai duemila fogli esaminati e riesaminati per eccesso di meticolosità anti-potere forte (“se si perde tempo pazienza”, sintetizzavano i più cinici tra i dipendenti comunali, facendo trascolorare il Marino del “daje” in un Marino da surrealtà avanzata).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.