Matteo Renzi ed Eugenio Scalfari (foto LaPresse)

Lettori di Repubblica scombussolati, non sanno cosa indossare per il referendum

Renzo Rosati
Il corsaro Scalfari vs Zagrebelsky e Urbinati. Quesi'ultimo contesta a Scalfari che il vero dilemma, altro che oligarchia, è “tra potere concentrato e potere diffuso”Calabresi paciere: “Stimoliamo il dibattito, contribuiamo a un confronto civile e informato". Quanto a lui, “non entro nel merito”.

Roma. “Sta per venire la rivoluzione e non ho niente da mettermi” (Umberto Simonetta, 1973). I lettori di Repubblica, almeno quelli dello zoccolo duro, scrutano con ansia il guardaroba: non ci trovano nulla di adatto ad affrontare con proprietà etica ed estetica il referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre. Portarsi sobriamente come il Direttore Mario Calabresi, che valuta “nel merito” la faccenda trascurandone complottismi politici, pedigree offesi, antichi girotondi degli anni ruggenti? O imbarcarsi con il Fondatore corsaro Eugenio Scalfari, il quale domenica 2 ottobre ha assegnato nel duello Matteo Renzi-Gustavo Zagrebelsky su La7 del 30 settembre “un bel 2-0 in favore di Renzi”? Scalfari ha teorizzato spesso il (proprio) libertinismo politico, e magari ai tempi di Ezio Mauro il Fondatore sarebbe stato riaccompagnato al recinto, con l’ok dell’Editore.

 


Gustavo Zagrebelsky (foto LaPresse)


 

Ma anche qui: Carlo De Benedetti ha appena rilasciato un’intervista spiccia al Corriere della Sera confermando che voterà No, ma voterebbe Sì se il premier (“che ha grandi qualità”) cambiasse l’Italicum, e comunque il giorno dopo “Renzi e Parisi si accorderanno ridimensionando la sinistra e restituendo Matteo Salvini alle valli”. E comunque Zagrebelsky è di Repubblica una firma storica, certo da poco un po’ trasmigrato verso il Fatto travagliesco, ma ospite fisso alla “Repubblica delle Idee”, vera kermesse identitaria, autore con l’ex direttore Mauro del libro-dialogo, “La felicità della democrazia”, il cui titolo è tutto un programma. Nel guardaroba un classico imprescindibile, un cachemere bordò. Ma Scalfari lo dichiara sconfitto, inerpicandosi su vette consone: la distinzione tra democrazia diretta cara al costituzionalista principe, e oligarchia, preferita dal Fondatore che cita Platone e Pericle. Panico tra i lettori e telefonate roventi sulla linea del Direttore.

 

Così ieri prova a correggere il tiro Nadia Urbinati, neopresidente di Libertà e Giustizia, infaticabile teorica con Stefano Rodotà-tà-tà, Sandra Bonsanti e, appunto, Zagrebelsky, della “svolta autoritaria” di Renzi. Urbinati contesta a Scalfari che il vero dilemma, altro che oligarchia, è “tra potere concentrato e potere diffuso”, il primo va da sé renziano, il secondo “con un pantheon di studiosi da Montesquieu a Condorcet, dai Federalisti americani a J.S. Mill”. Ma vola un pochino alto. Ecco allora scendere in campo Salvatore Settis, archeologo, ex rettore della Normale di Pisa, già quotidiano oppositore della politica culturale berlusconiana, e ora anche della “deforma” (copyright) del ministro renziano Dario Franceschini.

 

Settis lascia perdere la filosofia e morde ai polpacci. Chiede a Repubblica di pubblicare una lettera aperta a Giorgio Napolitano. Il titolo: “La riforma ricalca quella di Berlusconi”: insomma, il vecchio porto sicuro del repubblichino d’antan. L’ex capo dello stato, sollecitato da Calabresi, risponde “brevemente ed eccezionalmente per cortesia verso il direttore di Repubblica” (e si immagina con quanta voglia). Il succo: non è vero, non “si dilatano” i poteri del premier, macché deriva autoritaria, macché uomo solo al comando. Dopo tre giorni di rogne Calabresi tenta la conclusione buonista: “Stimoliamo il dibattito, contribuiamo a un confronto civile e informato”. Quanto a lui, “non entro nel merito”: scusi, ma perché no? Lo spogliatoio però resta in subbuglio, il pantheon pure, e i lettori repubblichini tradiscono una qualche nostalgia: di quando aprivi l’armadio e il vestito giusto per la rivoluzione lo trovavi al volo, con allegato abbonamento a Micromega.