Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Esiste davvero un piano se vince il no al referendum?

Claudio Cerasa
Rileggere oggi la domanda di Schäuble a Boris Johnson dopo il voto sulla Brexit e trovare una risposta (c'entra Di Maio) – di Claudio Cerasa

Pochi giorni dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, rilasciò una tosta intervista alla Welt per commentare le conseguenze della Brexit. Schäuble parlò di referendum inglese, ovvio, ma in quella intervista è presente un passaggio importante che potrebbe essere replicato oggi per inquadrare uno dei buchi neri di un altro referendum, ovviamente quello italiano. Domanda: “Herr Schäuble, se oggi dovesse intervistare Boris Johnson, quale sarebbe la sua prima domanda?”. Risposta: “Gli direi: Herr Johnson, come è possibile che non avesse alcun piano definito sull’implementazione della Brexit?”.

 

L’Inghilterra, purtroppo per noi, non è l’Italia e una soluzione per traghettare il Regno Unito nel dopo Brexit il partito di governo l’ha trovata, anche grazie alla complicità di un sistema politico in ottima salute (avercelo il bipolarismo inglese!).  Ma se la stessa domanda rivolta da Schäuble fosse rivolta oggi in Italia prima del referendum costituzionale ai campioni del no, che risposta si potrebbe dare? C’è o non c’è un piano chiaro per il dopo referendum in caso di vittoria del no? Proviamo un piccolo ripasso delle posizioni. Linea della minoranza Pd (area D’Alema): se vince il no chiediamo a Renzi di andare a casa, non chiediamo elezioni anticipate e proviamo a formare un governo con Forza Italia e Lega per approvare una nuova legge elettorale e una nuova riforma costituzionale che dovrebbe essere però approvata anche da un partito (il Pd) guidato da un segretario (Renzi) che non voterà la fiducia a nessun altro governo che non sia guidato da Renzi. Linea del centrodestra: se vince il no chiediamo a Renzi di andare a casa, non chiediamo elezioni anticipate per non essere asfaltati da Grillo e proviamo a formare un governo con il Pd per approvare una nuova legge elettorale che dovrebbe essere però approvata anche da un partito (il Pd) guidato da un segretario (Renzi) che non voterà la fiducia a nessun altro governo che non sia guidato da Renzi. La linea del movimento 5 stelle: se vince il no mandiamo a casa Renzi, chiediamo elezioni che non ci verranno concesse, contesteremo Mattarella per non averci fatto votare, ci affideremo alla casta per trovare una soluzione che noi contesteremo e prepareremo una campagna elettorale focalizzata sull’uscita dall’Euro senza spiegare però se vogliamo davvero o no uscire dall’Euro.

 

Linea della minoranza Pd (area Bersani): se vince il no non chiederemo a Renzi di andare a casa, chiederemo un nuovo congresso e chiederemo allo stesso segretario che abbiamo accusato per tutta la campagna referendaria di essere un pericolo per la democrazia di formare un governo del cambiamento senza Alfano e senza Verdini e provando a verificare se esistono spiragli all’interno del movimento 5 stelle. Il ministro Schäuble, dunque, non avrebbe difficoltà a capire che la risposta alla sua domanda è negativa e la grande disomogeneità del fronte del no, se usata con intelligenza dal presidente del Consiglio, che in questo momento sembra avere molti astri allineati, è destinata a essere da qui a dicembre uno dei punti di forza della campagna referendaria. Soprattutto per una ragione. E’ vero che Forza Italia è ufficialmente schierata a favore del no. Ma è anche vero che l’elettore di Forza Italia sa bene che il no al referendum presenta solo uno scenario chiaro: un rafforzamento del movimento 5 stelle, favorito dal caos, e non un rafforzamento del centrodestra, favorito solo da un quadro di normalizzazione del sistema istituzionale. E quando l’elettore di centrodestra capirà che il referendum di ottobre è un referendum tra l’Italia di Di Maio e quella di Renzi, se non avrà letto troppi libri di Travaglio, alla fine, non sarà difficile capire da che parte stare. 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.