Spoglio elettorale (foto LaPresse)

Correre per diventare sindaco? "Ma chi ce lo fa fare?"

Ermes Antonucci
Meno risorse, rischio flop e pm d'assalto. Altro che elezioni amministrative, fare il sindaco è più difficile e meno remunerativo. Intervista al politologo Luca Verzichelli.

Roma. Sarà anche vero che le elezioni amministrative di domenica interesseranno ben 1.342 comuni, tra cui città come Roma, Milano, Napoli e Torino, ma mai come oggi la figura del sindaco appare essere così problematica e foriera di grane – piuttosto che di fortune – per coloro chiamati a rivestirne la funzione e per gli stessi partiti. Certo, c’è il rischio di flop elettorale che spaventa per i suoi possibili (relativi) risvolti al livello nazionale. Ma pesano inoltre due cambiamenti più strutturali e profondi. Primo: tra riforme istituzionali e una pur lenta revisione della spesa pubblica, si è già ridotto il numero di posizioni di potere per cui competere. In secondo luogo, la vita degli amministratori è resa difficile dall’offensiva di una parte della magistratura nei confronti della discrezionalità della politica. In una conversazione con il Foglio, Luca Verzichelli, professore di Scienza politica all’Università di Siena, ripercorre in maniera analitica questo “ridimensionamento del ruolo politico dei sindaci”.

 

Un processo che ha indotto i partiti, nel complesso, a disinteressarsi della competizione comunale, e a riaffacciarsi solo laddove i sondaggi sembravano promettere risultati positivi. A dimostrarlo – dice Verzichelli – è il fatto che i candidati sindaco, anche nelle grandi città, hanno finito per appoggiarsi a liste personali, ormai moltiplicatesi: “La forte focalizzazione sulle liste personali è un segnale abbastanza evidente della debolezza dei partiti centrali”. Quest’ultimi, infatti, non sembrano passarsela bene: “Penso al centrodestra, che si presenta diviso quasi dappertutto, ma anche al Pd e alla sua strana unità interna, piena di tensione, dove il leader Renzi è rappresentativo ma allo stesso tempo molto divisivo”. Poi c’è il Movimento 5 stelle, “un partito che sta dappertutto ma che non penetra in nessuno di questi territori”, tra “difficoltà ex ante di trovare candidati rappresentativi”, vedi il cambio di rotta avvenuto a Milano, e il tema del “controllo ex post sui sindaci eletti, vedi il caso del sindaco di Parma, Federico Pizzarotti”.   

 

Torniamo ai fattori strutturali e non solo contingenti di indebolimento della figura del sindaco e in generale dell’amministratore locale. Verzichelli, in un saggio apparso sulla rivista il Mulino diretta da Michele Salvati, ha spiegato che la revisione della spesa pubblica avvenuta su input dei mercati e dell’Unione europea e soprattutto la lunga crociata mediatico-istituzionale per ridurre i costi della politica, alla fine, qualche effetto lo hanno avuto. La spending review procede lentamente ma, in tandem con le annunciate strette sulle società partecipate dagli enti locali, ha reso ineluttabile una riduzione delle “posizioni del professionismo politico parallelo”. Poi c’è una tagliola già all’opera, si pensi in particolare agli effetti della legge Delrio che non ha riguardato soltanto le province. “Per avere un quadro, sia pure grossolano, dell’impatto di questa trasformazione normativa, diciamo che, nei venticinque comuni capoluoghi di provincia alle urne nel 2016, la riduzione della posta in gioco si attesta, rispetto al quinquennio precedente, su un valore del 20 per cento”. Un calcolo ottenuto sommando la contrazione dei seggi consiliari (da 1.076 a 86) e delle potenziali nomine nelle rispettive giunte (da 300 a 237) che dovrà avvenire nelle nuove amministrazioni in forza delle recenti disposizioni. Se si tiene conto anche dell’abrogazione dell’elezione popolare dei consigli provinciali, “la riduzione effettiva delle ‘spoglie’ più significative del governo locale può essere stimata attorno al 50 per cento”, sostiene Verzichelli.

 

“Il ridimensionamento del ruolo politico degli enti locali è nei fatti – dice il politologo – Da un lato abbiamo ridotto i livelli di governo, e questo ci spinge a dover guardare al futuro in un quadro nuovo e innovativo. Dall’altro, negli ultimi tre anni, complice la crisi economica, si è assistito a un rafforzamento delle istituzioni europee e di quelle nazionali, e a un loro parallelo processo di personalizzazione, che in realtà non è un’eccezionalità italiana e di Renzi ma riguarda tutta l’Europa”.
A farne le spese sono stati gli enti locali, in particolare proprio i sindaci, il cui ruolo ora non sembra più attirare come prima le aspirazioni di carriera di tanti politici. Tre settimane fa, non a caso, un gruppo di primi cittadini di centrosinistra ha scritto una lettera pubblica in cui si sottolinea come sia difficile il compito dell’amministratore locale, tra ristrettezze economiche e tentazioni di alcuni magistrati a sostituirsi all’esercizio del loro mandato (si veda il caso Lodi).

 

“I sindaci – conclude Verzichelli – hanno dimostrato che il loro lavoro, e dunque quello di coloro che si candidano a succedergli, non solo è molto difficile e costretto a confrontarsi con crescenti vincoli di bilancio, ma è reso particolarmente rischioso dal punto di vista della loro esposizione personale, per effetto di una serie di procedure assolutamente complicate. Di questo dovrà occuparsi sicuramente la legislazione ordinaria: bisogna semplificare molto gli aspetti procedurali e amministrativi, altrimenti il risultato sarà un ulteriore allontanamento dalla partecipazione politica locale e quindi dalla politica tout court”.