Alfio Marchini, Silvio Berlusconi, Guido Bertolaso (foto LaPresse)

Larghe romane intese

Marianna Rizzini
La campagna elettorale a Roma, lo spezzettamento del quadro politico in cinque “idee di città”, i populismi, i centrismi, le ali estreme. Grande coalizione non solo a Roma. “La condivisione di responsabilità sarà inevitabile”. Intervista a Bertolaso.

Roma. La campagna elettorale a Roma, lo spezzettamento del quadro politico in cinque “idee di città” (di paese?), i populismi, i centrismi, le ali estreme e quell’ipotesi: e se a Roma si rendesse necessaria una Grande Coalizione Comunale Pd-Forza Italia in chiave antipopulismo, appunto? E insomma si fa strada il sospetto (anche se Silvio Berlusconi dice il contrario) che il “modello” per l’Italia immaginato dal centrodestra non possa essere, alla lunga (vedi i casi di Roma, Torino, Napoli e future elezioni politiche), quello della Milano dell’alternanza possibile, con Beppe Sala e Stefano Parisi “esempi” per centrodestra e centrosinistra, e neanche quello della coalizione referendaria antirenziana. Ma potrebbe essere quello della Roma dove Berlusconi e Renzi dovranno per forza trovare un modo per mettersi d’accordo, specie in caso di ballottaggio tra un centrosinistra moderato e un movimento populista.

 

Guido Bertolaso, l’ex candidato sindaco che ha fatto (e a cui hanno fatto fare) il passo indietro a favore di Alfio Marchini, l’aveva detto su Repubblica: “… chi vincerà dovrà varare una giunta di larghe intese: solo con l’accordo di tutti si potrà tirare Roma fuori dal buco nero di debiti e degrado in cui è precipitata”. Contestualmente, Bertolaso aveva anche dichiarato di aver “convinto” Berlusconi “a mollare Salvini, un fascista che sputa sul tricolore” – e quasi quasi l’aria della Grosse koalition, negata a parole, già si respirava nei fatti. E oggi, parlando con il Foglio, Bertolaso lo conferma: “Ognuno si fa la sua campagna elettorale, adesso, ma poi chiunque vada in Campidoglio dovrà chiamare i suoi avversari e dire: ‘O qui ci rimbocchiamo le maniche tutti insieme per risolvere una situazione drammatica, con la città in ginocchio, o è inutile che il prefetto Tronca faccia gli scatoloni: ci ricommissarierebbero nel giro di un anno”. Dati alla mano, la diagnosi “del paziente Roma” fatta dall’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso non può essere che “impietosa”.

 

“Il debito del comune è una voragine spaventosa”, dice Bertolaso, “in cassa non c’è una lira, a malapena ci sono soldi sufficienti a pagare gli stipendi al personale. Nient’altro. E oggi è uscita un’altra notizia: a Roma, su 6.500 km di strade, ogni quindici metri c’è una buca. L’ottantadue per cento delle strade sono bucate. E vogliamo parlare del traffico? Quante ore passa un romano bloccato nel traffico? Il triplo di un milanese. E i mezzi pubblici? Avete presente l’immagine dei passeggeri della Roma-Lido che camminano a piedi sulle rotaie perché la linea si è rotta?”. Ma il Bertolaso-Cassandra dice soprattutto che, chiunque vinca, si troverà sul tavolo, tra sei mesi, la bomba a orologeria della monnezza: “A Roma produciamo ogni giorno 4.500 tonnellate di spazzatura che finiscono fuori dal Lazio, conferite in altri discariche e altri impianti di smaltimento: anche all’estero, dove, con la nostra monnezza, riciclando, si fanno fior di quattrini”. A Roma, dice Bertolaso, “paghiamo la tassa sui rifiuti più alta d’Italia, anche se siamo ‘fuorilegge’ rispetto alle leggi europee e italiane che dicono: i rifiuti si smaltiscono in casa propria. E infatti il Tar, mesi fa, ha condannato la regione Lazio, e ha dato 180 giorni per mettersi in regola. Ne sono passati 60: tra 120 giorni Roma sarà coperta dalla spazzatura come lo è stata Napoli nel 2008”. Il sindaco troverà questo “problemino”, dice l’ex capo della Protezione civile, “oltre alla questione dei campi Rom: con 250 campi abusivi cosa risolvi con le ruspe? Li sposti da un campo e se ne vanno in un altro. E vogliamo parlare di sicurezza? Si parla di ‘operazioni strade sicure’ ma la periferia è abbandonata a se stessa. Solo che non c’è una lira in cassa. Qui abbiamo un malato in agonia, in camera di rianimazione. Qui ci sono metastasi che si chiamano corruzione, illegalità e mancato controllo del territorio”.

 

E allora, ecco che l’ipotesi della Grande Coalizione Comunale si affaccia per forza di cose: “Non potrà mai accadere che un sindaco da solo, chiunque egli sia, con una maggioranza risicata, riesca ad adottare le soluzioni durissime che si renderanno necessarie. E dovrà prenderne di molto impopolari. L’uomo solo al comando a Roma non va da nessuna parte, e Alfio Marchini lo sa, come lo so io”. E dunque, in caso di ballottaggio, come vedrebbe Bertolaso un accordo tra Pd e Forza Italia contro i populismi arrembanti? “O si suddividono le responsabilità con gli avversari o si va tutti a casa”, dice Bertolaso. E a questo punto vengono alla mente le parole dette dall’ex candidato all’inizio della campagna elettorale, quando ancora non si profilavano passi indietro: “Voterei Giachetti se non fossi candidato io”, era stata la frase. “L’avevo detto perché lo conoscevo e ci avevo lavorato in varie occasioni, essendo stato Giachetti capo di gabinetto di Francesco Rutelli”, dice Bertolaso. Ma certo “sarebbe Giachetti, oltre a Meloni, che Marchini dovrebbe chiamare, se vincesse, per trovare un modo di lavorare insieme in nome del bene superiore di Roma. E viceversa”.

 

E lo “schema-Roma” potrebbe riproporsi tra un anno, in caso di elezioni anticipate specie se, dice Bertolaso, “al referendum vincessero i no. Si sa che Renzi ha detto: se vincono i no vado a casa. E se Renzi va a casa si vota con la vecchia legge elettorale, e con il proporzionale secco. Non ci sarà dunque nessun partito che avrà la maggioranza per governare: ci sarà bisogno di larghe intese, e non potranno farle né Salvini né Fassina né Meloni né Grillo”. Restano Pd e Forza Italia, ora schierati su lati referendari opposti: “Si dovranno mettere d’accordo”, dice Bertolaso, “per far prevalere l’interesse del paese, come a Roma chiunque vinca dovrà avere il coraggio e l’umiltà di coinvolgere chi ha perso”. 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.