Marco Pannella (foto LaPresse)

Pannella, il format radio del conversatore. Lo racconta Bordin

Salvatore Merlo
Loro due, Marco e Massimo, su Radio Radicale erano l’orso incontinente e il grillo scettico. "Pannella detestava la linearità, odiava la sintassi, non sopportava nemmeno l’idea che qualcuno potesse tentare di spiegare agli altri quello che lui diceva. Pannella voleva comunicare emozioni, evocarle con le parole".

“Caro Massimo, devi capire che…”. “No, Marco, per la verità non s’è capito niente”. E andava avanti così, ogni domenica, tra accendini inceppati, colpi polemici di tosse, silenzi di sasso, urla improvvise, con il rumore della strada che intanto, aprendo la finestra d’una stanzetta satura di fumo, arrivava fino ai microfoni, ma come un bisbiglio attraverso pesanti tende di velluto. “Pannella s’era costruito un format su misura a Radio Radicale… per vent’anni, anche se non siamo mai riusciti a ricostruire quando diamine facemmo la prima puntata”, dice Massimo, cioè Bordin, lui che lo ascoltava, lo contraddiceva, talvolta lo faceva incazzare, osservando Pannella con quel disagio che gli uomini non toccati dalla passione devono provare per i colpiti, o forse chissà recitando un implicito copione, un ruolo che da perfetti compari s’erano col tempo assegnati l’un l’altro. “La verità è che a lui questa cosa di avere davanti uno che gli diceva: ‘La stai sparando troppo grossa’, lo divertiva assai. Ricordo che all’inizio tentavo di sottoporgli una scaletta degli argomenti, ma Pannella detestava la linearità, odiava la sintassi, non sopportava nemmeno l’idea che qualcuno potesse tentare di spiegare agli altri quello che lui diceva. Pannella voleva comunicare emozioni, evocarle con le parole”, come un mago o forse un profeta.

 

E così loro due, Marco e Massimo, su Radio Radicale erano l’orso incontinente e il grillo scettico, un sigaro toscano e un pacchetto di sigarette, accomunati da un tossire ch’era sempre un dispetto, un commento, un umore contrabbandato. “Io sono un tipo peggiore, più bassamente razionale, privo di slanci ideali”, dice Bordin. “Pannella invece è sempre stato capace di indignarsi profondamente, di vivere sulla sua pelle le battaglie della politica e le sofferenze delle persone”. E allora giocavano sulla distanza caratteriale, in pubblico come in privato, “ogni settimana, per vent’anni, immancabilmente, a quindici minuti dalla messa in onda, Pannella mi telefonava: ‘Sono sicuro che arriverò in ritardo. Non trovo un taxi’. E io: ‘Sono sicuro che arriverai in orario, Marco’. E infatti arrivava sempre in orario. Ma quando glielo facevo notare, allora lui teneva il punto: ‘Sono arrivato in tempo solo per una combinazione fortuita di eventi’”.

 

E insomma tutto avveniva sempre con ritorta, complessa, implicita, dispettosa soddisfazione nel ripetere, immutabile il rito. “Per anni la conversazione è stata ascoltata dai militanti radicali con la stessa passione con la quale negli anni Cinquanta i comunisti avrebbero ascoltato Togliatti… Solo che Pannella si perdeva in mille rivoli, ovviamente”. Un discorrere intelligente e felice, disordinato, talvolta incomprensibile, dominato da Pannella, prodigo d’una vivacità forse troppo implacabile, spesso sospinto com’era dal tono di chi fruga nei cassetti della memoria, buttando tutto all’aria, tirando fuori nomi, idee, immagini, fatti, altre volte sgranando l’intero sillabario della sua simbologia: regime, nonviolenza, compagni, amore, libertà, diritto. “L’incontinenza di Pannella era tutta politica. Rifiutava l’ovvio. Cercava quegli angoli di vita che la politica non tratta. Era magmatico, sì, certo. Ma anche la lava segue un suo percorso”. Eravate amici? “Difficile dirlo quando hai a che fare con un uomo come lui. Ma direi proprio di sì. Anche se non augurerei al mio peggior nemico di passare un pomeriggio con Pannella insoddisfatto del lavoro in radio”. Radio Radicale. E adesso? “Le previsioni più difficili sono quelle che riguardano il futuro. Pannella ha sempre protetto la radio sia dall’esterno sia dall’interno. Ora, senza di lui, sarà tutto più difficile”.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.