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L'altro Partito della nazione

Luciano Capone
Il referendum No Triv riunisce in un cartello antindustrialismo, ambientalismo e decrescita felice, grillini, cantanti e magistrati. La sinistra dem tradisce Prodi e Bersani, il centrodestra Berlusconi.

Roma. Manca solo Brancaleone da Norcia e nella grande armata referendaria contro le trivelle ci sono quasi tutti, ognuno con le sue idee e per motivi diversi, la gran parte dei quali prescinde dal quesito. Anzi, si fa prima a dire chi è contrario: il Pd. E neppure tutto, perché la minoranza interna e diversi presidenti di regione dem sono schierati sul fronte del “sì”, insieme a un ampio ventaglio di forze politiche che va dal Movimento 5 stelle alla Lega, da Sel a Fratelli d’Italia, da Forza Italia a Rifondazione comunista, passando per i Verdi, Forza Nuova, Casa Pound, associazioni ambientaliste, movimento benecomunista, attori, cantanti e vescovi. Ecco l’altro Partito della nazione, che si oppone a quello originario di Renzi, o meglio un Partito della reazione che ha certamente in comune un obiettivo tattico – dare un colpo al governo in vista delle amministrative e in attesa della battaglia finale del referendum costituzionale – ma ha anche una simile radice ideologica, fatta di avversione all’industria, rifiuto delle grandi opere, ambientalismo esasperato, chilometro zero e decrescita felice. Insomma un’idea di sviluppo un po’ bucolica che magari vorrebbe trasformare quella che è una potenza industriale e manifatturiera in una specie di grande agriturismo disseminato di pale eoliche e pannelli solari.

 

Nel caso di molti partiti, di estrema destra e di estrema sinistra (inclusi i grillini), la strategia referendaria coincide con la piattaforma ideologica, fatta in gran parte di idiosincrasia per l’industria, la globalizzazione e il mercato. Per altri, di destra e di sinistra, è la tattica anti-governativa (anti-Renzi, anti-Boschi o anti-Guidi in periodi di personalizzazione della politica) che sta trasformando l’impostazione culturale. Basti pensare alla sinistra democratica, quella proveniente dalla storia del Pci-Pds-Ds e radicata nell’esperienza dell’Ulivo. L’opposizione al governo centrale da parte degli enti locali guidati da Emiliano e quella al partito da parte della minoranza stanno di fatto cambiando i connotati della “ditta”, trasformandola da un’industria a una specie di fattoria biologica. E questa cesura è evidente nella diversa posizione degli esponenti della sinistra dem rispetto a quella dei padri nobili dell’Ulivo.

 

Roberto Speranza, Miguel Gotor, Davide Zoggia, Michele Emiliano, Enrico Rossi e Gianni Cuperlo sono schierati per il “sì”. Invece, per quanto non nutrano profondissima simpatia per Renzi – e la loro indicazione di andare a votare è un segnale in questa direzione – Romano Prodi, Pier Luigi Bersani, Enrico Letta e Massimo D’Alema si sono espressi per il “no”, contro la proposta referendaria. Si tratta di leader che conoscono la materia, che nella loro carriera sono stati presidenti del Consiglio, presidenti dell’Iri, ministri dello Sviluppo economico e dell’Industria, che hanno dovuto affrontare i problemi della politica energetica italiana e hanno sbloccato la costruzione di nuove centrali. Sanno perfettamente che sarebbe insensato chiudere degli impianti e delle industrie prima che si esauriscano le risorse da estrarre. Il contrario “è un suicidio nazionale”, per dirla con Prodi. Nell’anticipazione di un congresso di partito e caricati dalle intercettazioni di Potenza, invece, gli Speranza e i Gotor diventano No Triv dell’ultim’ora, bersaniani senza Bersani, ulivisti senza radici, in rottura con la tradizione della sinistra industrialista.

 


Protesta dei Verdi per la "censura" nei tg sul referendum per le trivelle (foto La Presse)


 

Qualcosa di simile è avvenuto anche nel centrodestra dove, chiuso il patto del Nazareno, l’opposizione senza se e senza ma al governo sta distruggendo quel che resta della spinta modernizzatrice del 1994. Con l’eccezione di Paolo Romani, non a caso anch’egli ex ministro dello Sviluppo economico, tutta Forza Italia, che non ha neppure una posizione ufficiale, sembra schierato con i No Triv a braccetto con le stesse forze del referendum Acqua bene comune. Passati i tempi dei Romani e dei Marzano, molto distanti dalle pulsioni reazionarie, la linea sulla politica energetica degli azzurri viene dettata dall’ecologismo animalista di Michela Brambilla, dalle uscite solitarie  di Antonio Razzi o dal regionalismo di Giovanni Toti. Sorprendono anche le uscite del capogruppo alla Camera Renato Brunetta che, pur non esprimendosi sul merito del referendum, agita le manette dicendo che “l’invito all’astensione di Renzi è un reato e un attentato alla democrazia”. Difficile che il già craxiano e già berlusconiano Brunetta abbia rimosso che gli unici precedenti di presidenti del Consiglio che hanno invitato all’astensione in un referendum siano proprio Craxi e Berlusconi. E’ impossibile che non ricordi che pochi anni fa egli stesso, da ministro, invitava all’astensione nel referendum sull’acqua.

 

“Io vi invito ad andare il 17 aprile prossimo tutti quanti alle urne alla faccia di Renzi, anche dove il mare non c’è e nemmeno le trivelle”, dice invece Matteo Salvini. E così anche la destra sovranista della Lega e dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, per fare un dispetto a Renzi, fa un torto alla propria identità, in cui hanno storicamente avuto un peso rilevante concetti come l’interesse nazionale e l’indipendenza energetica. Ma probabilmente l’avversione per il governo a guida Pd e per l’Europa fanno ritenere che l’interesse nazionale e l’indipendenza energetica risiedano a Mosca o a Riad più che a Roma.

 

Chi è pronto a capitalizzare politicamente il referendum è naturalmente il M5s che, rispetto alle altre forze politiche, mostra comunque una certa coerenza ideologica, quella di chi da almeno vent’anni si è convinto – seguendo gli spettacoli di Beppe Grillo – che se non ci sono automobili a idrogeno, aerei solari e motori ad acqua sia solo colpa della “lobby del petrolio”. Non può mancare una larga fetta della “società civile” fatta dal solito circolo di attori, artisti, cantanti e intellettuali impegnati a sottoscrivere appelli o a fare concerti quando c’è da salvare il mondo, l’ambiente, la Costituzione o tutte e tre insieme.

 

In campo c’è pure parte della Chiesa, con molti vescovi per il “sì” in nome dell’ambiente e del Papa, pronti a trasformare in azione politica i princìpi dell’enciclica Laudato si’ (per fortuna in questo caso nessuno urla all’ingerenza ecclesiastica, anche perché perfino i Radicali sono troppo impegnati a denunciare il governo astensionista). E ovviamente c’è un pezzo di magistratura militante che, utilizzando un’applicazione estensiva delle norme sui reati ambientali, da anni ha messo sul banco degli imputati e sotto sequestro l’industria pesante. Le trivelle non c’entrano molto, hanno ragione quelli del Partito della reazione a dire che il referendum serve a dare un segnale su che tipo di paese vogliamo.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali