Susanna Camusso (foto LaPresse)

Jobs Act o trivelle, la sinistra-sinistra e il ricostituente referendario

Marianna Rizzini
La sovrapposizione con le elezioni amministrative del referendum pone il dilemma morettiano del “mi si nota di più se lotto o se non lotto”.

Roma. Cronache dell’altro mondo, diceva il titolo del libro di Mario Luzi sulla “primavera” latinoamericana. Ma ora, in Italia, la primavera agli albori sta illuminando l’altro mondo che fu (o che vorrebbe essere): mondo non renziano, mondo nostalgico ex-post-neo comunista, mondo benecomunista e mondo a Cinque stelle che, nell’imminenza della competizione elettorale amministrativa, deve decidere se farsi istituzione o se restare movimento – tanto che il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, sul Corriere della Sera, parlando degli incontri con i rappresentanti dei governi esteri, e dando i suoi personali voti di gradimento, ha dichiarato di sentire più che mai vicino il premier inglese David Cameron “che si è fatto rispettare dalla Ue” e “non è come il nostro premier che urla in patria e poi va con il cappello in mano da Merkel e Hollande”. E c’è chi, leggendo, ha strabuzzato gli occhi: in tempi di referendum anti-trivelle, infatti, e di impegno a Cinque stelle per il “sì” contro le perforazioni, stupisce l’amore di Di Maio per il primo ministro britannico, uno che le trivelle le ha sempre volute e che per questo ha affrontato contestazioni di ogni tipo (compresa quella, recentissima, dell’attore Mark Ruffalo, al grido di “Mr Cameron, you are making an enormous mistake”).
Soprattutto, le cronache dell’altro mondo illuminano le gesta al momento sommesse di Susanna Camusso, segretario Cgil alle prese con il lancio della campagna referendaria anti Jobs Act: raccolta firme per modificare la legge renziana e altre leggi sul lavoro (in gennaio Camusso era già intervenuta, spiegando che non si trattava di un vero referendum abrogativo ma di dare l’abbrivio alla battaglia “per un cambiamento molto più radicale”, in direzione di un nuovo Statuto dei lavoratori).

 

Ma oggi la sovrapposizione con le elezioni amministrative pone il dilemma morettiano del “mi si nota di più se lotto o se non lotto” alla Cgil che, soltanto due mesi fa, non voleva appiattirsi sulle “polemiche di giornata” e quindi preferiva defilarsi dal botta e risposta con gli esponenti di governo. E però adesso è impossibile scorporare la campagna anti Jobs Act dalla campagna elettorale, tanto più che sui temi del lavoro c’è in piazza la sinistra-a-sinistra-del-Pd, con affollamento e infinite sfumature: ieri a Torino Giorgio Airaudo, candidato sindaco della gauche anti Fassino, incontrava Maurizio Landini, che con la sua “Coalizione Sociale” da un anno fa altri minuziosi distinguo (saranno poi comprensibili agli elettorati tutti?, ci si domanda, pur sapendo che Landini è in campo, sì, ma non direttamente nell’agone elettorale, il che non vuol dire che non faccia intuire l’endorsement per l’Airaudo con cui pure non è stato negli anni sempre concorde). Anzi: ci furono giorni duri in cui Airaudo definì Landini “un Lula” – acqua passata, sì, ma fino a quando? Intanto ieri Landini lodava la Cgil.

 

E se a Torino il faccia a faccia mimìmetallurgico fa sorgere interrogativi sulla sempre aleatoria nascita di un fantomatico “partito del Lavoro”, a Roma le cronache dell’altro mondo riguardano non solo e non tanto l’ancora misterioso memoriale dell’ex sindaco Ignazio Marino, ma l’attivismo sotterraneo dell’ex viceministro dell’Economia dei giorni lettiani Stefano Fassina, l’uomo che nove mesi fa, dopo lungo tentennare, ha infine consumato una drammatica rottura dal Pd: ora Fassina, da candidato sindaco per Sinistra Italiana, fa di tutto per rovesciare il suo vecchio profilo da ex uomo di governo (tutto sommato moderato) che andava in tv a sostenere tesi non proprio trinariciute. Detto e fatto: Fassina oggi su Twitter si vota ai “Beni comuni” (il patrimonio di Roma, scrive, “non va svenduto” ma anzi “utilizzato soprattutto a fini sociali”), con quotidiana invocazione anti-trivelle – tutto si tiene. D’altronde i lungimiranti l’avevano detto, in tempi non sospetti, quando l’ex ministro parlava già del Pd come del “partito dei poteri forti”: guardate che Fassina diventa un volto da combattimento dei “tà-tà”, ovvero dei fan del professor Stefano Rodotà, in questi giorni di nuovo presente in tv per la lotta anti-perforazioni.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.