Il ministro della Giustizia Andrea Orlando (a sinistra) e Michele Vietti, presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento giudiziario (foto LaPresse)

Idee per una nuova efficienza

Ora il governo ha un piano per riformare l'ordinamento giudiziario. Anticipazione

Renzo Rosati
Pm responsabilizzati, riordino delle sedi giudiziarie, mobilità dove serve (basta sprechi), no separazione fra pm e giudici. La commissione ha concluso i lavori inviando al ministro della Giustizia Andrea Orlando un testo di 108 pagine e centinaia di articoli e commi che modificano le norme in vigore. Parla Michele Vietti.

Roma. “Il senso, direi il segno politico della proposta di riforma dell’ordinamento giudiziario inviata al governo, è nel capo- volgere l’ottica con la quale ci si è mossi finora. L’ordinamento stesso veniva concepito come ‘statuto del magistrato’, con al centro diritti e tutele della magistratura a cominciare dalle sempre citate autonomia e indipendenza. Qui rovesciamo le cose mettendo come obiettivo un ‘servizio giustizia’ per cittadini e imprese. Del quale i magistrati devono essere il mezzo, non il fine”. A parlare con il Foglio è Michele Vietti, dal 2010 al 2014 vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura dopo una carriera politica e di sottosegretario in epoca berlusconiana come esponente di Ccd e Udc. Il 12 agosto 2015 il governo lo ha nominato capo di una commissione di 17 esperti e magistrati per predisporre una delle più ambiziose riforme renziane, che avrà forma di legge da sottoporre al Parlamento con l’obiettivo che venga approvata prima di andare alle urne.

 

La commissione ha concluso i lavori inviando al ministro della Giustizia Andrea Orlando un testo di 108 pagine e centinaia di articoli e commi che modificano le norme in vigore su questi aspetti: geografia giudiziaria, in particolare per le corti d’appello e relative procure generali; accesso alla magistratura; illeciti disciplinari e incompatibilità dei magistrati; valutazioni di merito e carriera; mobilità sia di sede sia di funzione; riorganizzazione degli uffici del pubblico ministero. Il Foglio ha letto gli articolati e la relazione di 28 cartelle, e ne ha ricavato l’idea di una notevole rivoluzione che tiene fede a ciò che dice Vietti, anche se deluderà chi si aspettava la separazione delle carriere tra giudici e accusatori. “Non c’è nella forma – dice Vietti – e tra l’altro avremmo dovuto toccare la Costituzione. Ma ci avviciniamo a quell’obiettivo nel riorganizzare gli uffici requirenti di primo e secondo grado, riaffermando la natura gerarchica del pubblico ministero e accentuando le responsabilità dirette dei vertici, con obiettivi di efficienza. Gerarchizzazione che finora nella prassi ha incontrato difficoltà ad affermarsi: come dimostra da ultimo lo scontro del procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati con il suo aggiunto Alfredo Robledo”.

 

Testualmente si prevede:

 

a) le figure apicali degli uffici requirenti stabiliscono criteri di organizzazione dell’ufficio; criteri di assegnazione dei procedimenti ai procuratori aggiunti e ai magistrati del proprio ufficio,  individuando  eventualmente settori di affari da assegnare ad un gruppo di magistrati; tipologie di reati per i quali i meccanismi di assegnazione del procedimento siano di natura automatica;

 

b) l’eliminazione della discrezionalità del procuratore capo nell’assegnare la delega al procuratore aggiunto o in sua mancanza, ad altro magistrato per la cura di specifici settori di affari;

 

c) l’innovazione del ruolo di coordinamento e vigilanza del procuratore generale della corte di cassazione, che, al fine di favorire l’adozione di criteri organizzativi omogenei e funzionali da parte dei procuratori della repubblica e la diffusione di buone prassi negli uffici requirenti, è chiamato a coordinare periodiche riunioni tra i procuratori generali presso le corti di appello all’esito delle quali vengono formulate linee guida organizzative da trasmettere al Consiglio superiore della magistratura per l’approvazione;

 

d) l’attribuzione al procuratore generale presso la corte di appello della facoltà di acquisire dati e richiedere notizie alla procura della repubblica, che è tenuta a rispondere tempestivamente.

 

L’efficienza viene anche dal riordino delle sedi giudiziarie, soprattutto le corti d’appello che verranno riorganizzate su base essenzialmente regionale, avendo la mini-riforma del 2012 già ridotto il numero dei tribunali; ma anche qui si dovrà rimediare al vincolo provinciale, visto che le province non esistono più. Con la nuova disciplina della mobilità si vuole eliminare l’autoreferenzialità dei magistrati, in base alla quale solo le sedi richieste o gradite garantivano autonomia. “Questo – nota Vietti – è proprio il punto sul quale confliggono lo ‘statuto del magistrato’ e il principio di efficienza”. Dice la riforma: “Si è stabilito, senza possibilità di equivoco, che il vincolo di legittimazione si applica per tutti gli incarichi conferiti e per ogni tipo di trasferimento, compresi quelli direttivi e semidirettivi, quelli ufficiosi o altrimenti speciali”. Questo “avendo la giurisprudenza amministrativa talvolta continuato, per limitarne l’applicazione ai soli casi di trasferimento a domanda, a valorizzare la locuzione ‘sede da lui chiesta’.  Si è reputato pertanto opportuno espungere detta locuzione, onde chiarire che il vincolo di legittimazione non si applica ai soli trasferimenti richiesti dal magistrato”. Commenta Vietti: “D’altra parte si tratta di circa 9 mila civil servant che richiedono molti investimenti per la loro formazione, e dunque devono essere pronti a trasferirsi dove c’è lavoro da svolgere, non a costruirsi carriere in sedi alle quali rischiano di affezionarsi troppo”.

 

A sostegno di questa rivoluzione Vietti porta non solo l’affermazione di un principio, ma i dati statistici del ritardo della giustizia: al 30 giugno 2015 i procedimenti pendenti nelle corti d’appello erano 334.928, solo 38.073 in meno rispetto a un anno prima. Spiega il testo: “Da una simulazione sui dati relativi al settore civile emerge che se fosse possibile non incamerare alcun nuovo procedimento il sistema, con gli attuali livelli di rendimento, impiegherebbe circa 2 anni e 8 mesi per smaltire tutto l’arretrato in grado di appello”. D’altra parte la Corte d’appello di Milano, il distretto più grande d’Italia per popolazione amministrata, eroga servizi giudiziari per oltre 6 milioni di abitanti; all’opposto quella di Campobasso serve meno di 314.000 abitanti, con tre tribunali e una media ogni 100.000 abitanti, la soglia di un giudice di pace. Egualmente Piemonte e Val d’Aosta hanno un distretto giudiziario, la Lombardia due, la Puglia tre e la Sicilia quattro. “E’ la dimostrazione – osserva Vietti – che il focus va trasferito dal magistrato, con lui al centro del sistema, alla giustizia al servizio del cittadino. Che poi oltre all’efficienza richiede un altro requisito: la prevedibilità. Si devono cioè ottenere sentenze omogenee in base a casistiche consolidate e competenza, non affidate al caso, a protagonismi o improvvisazione”. Quindi oltre alla mobilità e alla fine del “vincolo di legittimazione”, la riforma prevede un secondo cardine, la specializzazione per settori – economico, di criminalità comune e organizzata, del lavoro e così via – “perché solo con la specializzazione dei magistrati si ha la prevedibilità, che altro non è che la certezza del diritto”. Nella proposta di delega ci sono molte altre cose, dall’accesso agevolato per gli studenti con laurea di almeno 108 e media di esami di 28, “perché si inizia troppo tardi e la carriera è troppo breve”, fino all’ampliamento dei casi di incompatibilità per i magistrati in politica, a cominciare da quella geografica. Ora però serve la volontà politica. Di Renzi innanzi tutto.