Beppe Grillo (foto LaPresse)

La fine dell'utopia grillina (#vinciamopoi)

Redazione
Si chiama microchip, non democrazia. Cos’è lo sfarinamento dei 5 stelle

La storia di Quarto è una storia piccola ma è una finestra interessante sul mondo grillino. Riavvolgiamo il nastro. Alla vigilia della scadenza dei venti giorni che le avrebbe rese irrevocabili, le dimissioni di Rosa Capuozzo da sindaco di Quarto sono state ritirate. La prima cittadina, se continuerà a godere dell’appoggio dei consiglieri eletti, come lei, nella lista dei 5 stelle e poi espulsi dal movimento, continuerà nella sua funzione. Tentò di far lo stesso Ignazio Marino, ma il Partito democratico fece dimettere i suoi consiglieri rendendo inevitabile lo scioglimento del consiglio capitolino. Beppe Grillo che ironizzò con sarcasmo sui travagli del Pd romano ora si trova a dover registrare un caso assai simile tra gli eletti del suo movimento. Il ruolo che si è assunto di “garante” della coerenza degli eletti certificati mostra ampie falle. Se alle ormai numerose vicende di controversie con le amministrazioni locali si aggiunge che quasi un terzo degli eletti in Parlamento ha abbandonato il gruppo nella prima metà della legislatura si ha un quadro di un processo di sfarinamento con caratteri epidemici. La questione della disciplina di partito e di fedeltà degli eletti al mandato elettorale è assai complessa anche per i partiti organizzati in modo classico e diventa ancora più critica per un movimento che si vanta di non avere strutture di partito. Per tentare di arginare questo fenomeno, come abbiamo già raccontato, gli strateghi del movimento hanno escogitato una specie di fidejussione che gli eletti devono sottoscrivere in modo da “rimborsare” il danno che procurerebbe una loro fuoruscita.

 

Si tratta di una misura comica, visto che naturalmente nel momento in cui un eletto non si riconosce più nel movimento, ovviamente, non si sentirà obbligato a onorare l’impegno sottoscritto, che d’altra parte non può avere alcun valore contrattuale cogente. Non esistono marchingegni formali, e tanto meno contrattuali, che possano garantire la fedeltà politica. Questa nasce solo da una condivisione di valori e principi, da una responsabilità verso una collettività di persone che non può essere sostituita o scimmiottata da un sistema di collegamenti a un sito informatico. L’utopia grillina di un rapporto tra eletti ed elettori, cioè di un sistema politico, in cui il potere decisionale spetta agli umori variabili di un gruppo sconosciuto, verificati solo da lui e dai suoi fidi attraverso sondaggi elettronici, sul modello microchip, non regge alla prova della realtà. Non è democrazia diretta, ovvero lo è solo nel senso, esattamente opposto a quello propagandato, di chi vorrebbe dirigerla dall’alto e senza reali sedi di confronto. Non vale davvero la pena di prendere troppo sul serio questi tentativi maldestri di irreggimentare la volontà politica, tento meno c’è l’esigenza di contrastarli addirittura attraverso una “legge sui partiti” che imponga forme omogenee di organizzazione della vita interna, che ogni partito deve essere libero di scegliere, salvo pagarne le conseguenze di fronte agli elettori.

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