Matteo Orfini (foto LaPresse)

Perché il Pd, nonostante tutto, è ancora un partito di sinistra

David Allegranti
Parla Elisa Simoni, vicina a Matteo Orfini e da qualche mese commissaria del Pd nel primo municipio a Roma. "Il Pd è di sinistra", e la deputata Simoni spiega perché a chi, proprio da sinistra, afferma il contrario.

Roma. Dubbi serpeggiano nella varie minoranze del Pd. Ohibò compagni, qua arrivano cuffariani e verdiniani, ma siamo ancora un partito di sinistra? “Certo che lo siamo”, certifica al Foglio la deputata Elisa Simoni, vicina a Matteo Orfini e quindi parte di quella “sinistra dialogante che però non si fa portare ovunque”, chiarisce lei, che da qualche mese è anche commissaria del Pd nel primo municipio a Roma. Il Pd è insomma di sinistra e la deputata Simoni spiega perché a chi, proprio da sinistra, afferma il contrario: “Portiamo in aula al Senato una legge come il ddl Cirinnà, che non sarà modificato malgrado le pressioni; abbiamo tutelato la maggioranza di lavoratori che prima non lo erano; abbiamo istituito per la prima volta un fondo per la povertà; abbiamo votato il ddl ‘Dopo di noi’ a favore di persone con disabilità gravi prive del sostegno famigliare e finanziato il fondo per la non autosufficienza. In più, in questo momento il presidente del Consiglio e segretario del partito ha lanciato un appello alla sinistra in Europa per una comune battaglia contro l’austerità. Sono tutte cose che io dicevo in campagna elettorale quando non eravamo noi al governo e volevano governare e non eravamo neanche nel Pse e volevamo entrarci”.

 

Detto questo, però, qualche problema c’è, nonostante le continue rassicurazioni dei vertici del Pd sul partito che non si snatura e non si allarga al centrodestra. “Anche perché se non fosse così, il Pd non sarebbe più il Pd e avrebbe perso sia la sua natura sia il suo progetto originario. E se fosse questa la direzione politica, il Pd ci andrebbe senza di me”. A lei dunque un bel partitone della Nazione con Verdini non piacerebbe. “Se ci fosse l’allargamento a forze di centrodestra, mi pare banale dirlo, non saremmo più un partito di centrosinistra. Ci snatureremmo. E penso che insieme a me anche altri avrebbero difficoltà a starci, perché non sarebbe più il Pd”. C’è quindi una deadline, per la Simoni, già assessore con Matteo Renzi ai tempi della Provincia di Firenze. “Dopo le amministrative, che saranno caratterizzate da schemi flessibili, il partito deve chiare la sua linea politica”. Ma dopo le amministrative c’è il referendum. “Sì, e abbiamo giustamente detto che sulle riforme eravamo aperti a chiunque ci stava. Voglio sperare però che ogni partito abbia il suo comitato per il sì. Alcune volte in politica la forma è sostanza e sicuramente stare nello stesso comitato di Verdini genererebbe confusione nel nostro elettorato. Non bastano i programmi elettorali per giustificare alleanze con Verdini, come invece pensa il segretario regionale della Toscana, Dario Parrini”.

 

[**Video_box_2**]La deputata orfiniana dice di essere preoccupata per il “tasso di ricambio” fra gli aderenti al Pd e dalle notizie che giungono anche da alcune Regioni, come la Sicilia. “Molti se ne vanno, altri arrivano.  Ma noi dobbiamo allargare la nostra platea di aderenti, perché se continuiamo a perdere consensi - anche se ne acquistiamo da altre parti - la somma resta a saldo zero. Ma oltre a questo, mi preoccupa la perdita di consenso nel nostro elettorato stabile e solido, perché in una fase di grande fluidità questi sono elementi di grande garanzia. Per questo ha fatto bene il segretario siciliano Fausto Raciti a bloccare il tesseramento dopo le notizie dell’avvicinamento dei cuffariani al partito”. Il rischio, secondo la deputata Simoni, è che “un grande partito come il nostro possa essere attraente per chi vuole usare il potere per scopi diversi. Quindi va fatta grande attenzione: bisogna immunizzare il partito dal trasformismo finalizzato alla gestione del potere, per limitare gli episodi che screditano la buona politica e i buoni politici del Pd”. E come? “Sono necessarie tre cose: un chiarimento netto della linea politica; un’organizzazione territoriale vera, che oggi non c’è, anzi c’è stata una smobilitazione che deve preoccuparci; un gruppo dirigente adeguato a livello territoriale, perché facciamo sempre più fatica a trovare chi voglia e chi possa fare il segretario”.

 

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.