Rosario Crocetta (foto LaPresse)

Il governatore che non c'era

Alessandro Giuli
Davvero c’era bisogno del mandato (linguistico) assassino contro Lucia Borsellino, ricevuto via telefono dal suo medico-compare e accolto con silenzio quantomeno verminoso, per liberarsi di uno come Rosario Crocetta? Anche no, al netto delle smentite di rito da parte della procura e dell’insistenza dell’Espresso.

Davvero c’era bisogno del mandato (linguistico) assassino contro Lucia Borsellino, ricevuto via telefono dal suo medico-compare e accolto con silenzio quantomeno verminoso, per liberarsi di uno come Rosario Crocetta? Anche no, al netto delle smentite di rito da parte della procura e dell’insistenza dell’Espresso. Uno come Crocetta andava messo alla porta almeno due anni fa, anzi non bisognava neppure metterlo in condizione di occupare la sala del trono nel granaio siciliano. Per lui, dalle nostre parti, vale più che per altri la massima fisiognomica scolpita da Leo Longanesi: “Non sono le idee che mi spaventano, ma le facce che rappresentano queste idee”. Quella di Crocetta era tutto un programma di vanità al servizio di un ego spregiudicato, il palinsesto espressivo di una rotta imminente scritta nel patto tra il Pd esangue e la setta belluina del dott. Gribbels. Il tutto all’ombra di un’enfiagione moralistica, alimentata dalle patacche di Ciancimino Jr. e dalle obliquità del pm in disarmo Antonio Ingroia, e incistata nel già usurato diaframma di una Sicilia senza più centro né confini politici.

 

Come nel caso del sindaco romano totally unfit, Ignazio Marino, anche Crocetta aveva esibito fin dall’inizio del suo governatorato una qualità inversamente proporzionale al rumore delle promesse rinnovatrici declamate sotto le insegne del repertorio canonico rubacchiato ai professionisti dell’antimafia da operetta. Parole cui hanno fatto seguito paludi d’inazione e turbe di dimissioni (Franco Battiato, per sua fortuna, appena in tempo) fino alla invalidante paralisi di una maggioranza mai veramente tale. Un sommario di decomposizione esemplificato dai crolli materiali nelle infrastrutture vitali dell’isola e – via via che le inchieste giudiziarie avanzavano sino a colpire il cuore del collateralismo politico-imprenditoriale del mondo di Crocetta – dalla caduta libera della fiducia nelle reali possibilità rigeneratrici del ceto dirigente siciliano. Serviva altro per rafforzarsi nella persuasione di un disastro in essere? No. Eppure questo “altro” sarebbe giunto, giovedì, con la forza del lampo e la miseria di un frammento omicida intercettato nell’ombra: “Lucia Borsellino va fatta fuori. Come suo padre”. Crocetta dice di non aver colto quella frase. Colga almeno l’occasione per farci dimenticare di lui.