Luigi Brugnaro festeggia la vittoria a Venezia (foto LaPresse)

Oltre il metodo Renzi. Indagine sul centrodestra che vince

Salvatore Merlo
Tra un anno si vota a Torino, Milano e forse Roma. “Per farcela ci vuole generosità, visione e attenzione, cioè ci vuole  ricambio”, dice Deborah Bergamini. “Quando il candidato è presentabile vinciamo noi”, dice Cattaneo. Toti propone le primarie. Metodo Renzi? “Metodo nuovo”

Roma. “Pietrasanta, Matera, Enna, i paesi della cintura di Milano, ma soprattutto Arezzo e Venezia”, elenca Deborah Bergamini, parlamentare tra i più vicini al Sovrano di Arcore, anche lei piacevolmente eccitata dalla vaga ebbrezza che in Forza Italia ha colto un po’ tutti nello scorrere i risultati delle elezioni amministrative. Sono piccoli segnali, ma l’impresa fa contenta un’ambizione guerriera sopita per qualche tempo e adesso rinascente, l’eccitamento di forzare gli eventi, il gusto di prendersi una rivincita inaspettata sul centrosinistra, su Matteo Renzi, persino sugli osservatori e sui giornalisti che della destra hanno tratteggiato fin qui il declino. Di proiettarsi insomma in un futuro che ora, d’un tratto, appare meno crepuscolare di quanto non fosse lecito immaginarsi soltanto poche settimane fa. “Dove azzecchiamo i candidati”, sorride la signora Bergamini, “dove rinnoviamo, dove apriamo le finestre, il centrodestra vince. Ma ci vuole generosità, visione e attenzione”, cioè ricambio. Metodo Renzi? “Metodo nuovo”.

 

E davvero Luigi Brugnaro, l’appena eletto sindaco-imprenditore di Venezia, assieme ad Alessandro Ghinelli, il nuovo sindaco di Arezzo, per gli occhi attenti di Arcore compongono le prime pennellate di un quadro, con quelle linee vaghe ma indispensabili che sempre vengono accennate quando si visualizza un profilo, quando si disegna un identikit, in questo caso l’espressione geometrica della vittoria. Così Alessandro Cattaneo, che è stato uno dei sindaci più giovani e amati d’Italia e adesso vorrebbe “formattare” tutto nel centrodestra, assume un ritmo quasi algebrico, compone una formula, mette insieme gli elementi d’un composto chimico, ancora instabile, sperimentale, ma promettente: “Giovani, facce nuove, nessuna zuffa, niente correnti, basta nomenclature polverose, e via libera alle liste civiche”. E nessuno nel centrodestra vuole utilizzare le parole “metodo Renzi”, ma è di questo che si tratta: di applicarlo adesso questo metodo, proprio ora che il segretario del Pd non sembra più capace di rottamare nella vasta provincia d’Italia, perché “quando viene fuori una figura credibile”, dice Cattaneo, “quando siamo in grado di esprimere un volto nuovo, la gente preferisce ancora noi. Mi sembra di poter dire che ci sono gli elettori del centrodestra, ma che adesso dobbiamo ‘fare’ il centrodestra”.

 

E l’entusiasmo è un fenomeno contagioso, in un partito si trasmette dall’uno all’altro come gli orecchioni, e gli entusiasti, con ambizione, cercano di superarsi a vicenda, spingendosi a fare progressi. “Se tutti i partiti fossero d’accordo a stabilire le primarie come mezzo di selezione delle candidature, si potrebbe pensare anche a un disegno di legge per regolamentarle”, propone Giovanni Toti, che a sorpresa è diventato il presidente della Liguria battendo la sinistra. E in Forza Italia, alcuni, adesso sembrano voler andare incontro alle novità con un’aria di gioia e di ardore, malgrado nel Palazzo, in Parlamento, la destra sia ancora una melassa che fermenta di guerre e guerriglie portate avanti con una gravità trionfante, Fitto, Verdini, Alfano… “Ci vogliono regole e merito”, scandisce Andrea Romizi, che è il sindaco di Perugia e che, nato nel 1979, appartiene per anagrafe alla nuova antropologia della destra moderata. “Nel tempo ci siamo mineralizzati”, dice. Quando lui fu candidato a Perugia, un anno fa, il centrodestra era disperato, strasicuro di perdere: Romizi fu tirato fuori dal cilindro all’estremo limite della resistenza nervosa. E quella faccia nuova ribaltò ogni pronostico. “Nei momenti di maggior difficoltà si è costretti a inventare qualcosa, a scuotersi, com’è successo oggi a Venezia, o ad Arezzo. C’è ancora una comunità di elettori che se ben rappresentata è capace di spingere il centrodestra alla vittoria”.

 

 

[**Video_box_2**]E insomma il vecchio, fragile e non più vittorioso ordine può essere turbato, e le sue norme, la sua estetica torpidamente inalterabile, può essere messa in discussione. “Il centrodestra riparte se la credibilità delle persone e dei programmi si salda con la capacità della politica di rinnovarsi”, dice Cinzia Bonfrisco, senatrice veneta che ha lasciato Berlusconi per Raffaele Fitto. E Michele Zuin, coordinatore veneziano di Forza Italia, uno dei sostenitori fin dall’inizio della candidatura “esterna” di Brugnaro nella città della Laguna, dice che “si può prendere esempio da quello che è successo a Venezia, anche a livello nazionale. Dobbiamo aprire il partito. Noi eravamo preoccupati, e abbiamo scelto Brugnaro. Sparigliando. E dopo venticinque anni di dominio a sinistra abbiamo vinto. Il segnale è incoraggiante. Il centrodestra è vivo”. E tra un anno si vota a Milano, a Torino, e quasi certamente a Roma visto che Renzi ha scaricato Ignazio Marino  con poche contundenti parole affidate alla Stampa e a “Porta a Porta” (“Fossi in lui non starei tranquillo”).

 

E allora il “segnale” è che il centrodestra vince, quando ha un volto presentabile. Corrado Passera per Milano, Alfio Marchini per Roma. Possibile? Possibile. Ma i segnali, in Italia, si consumano presto, sono come il vento. E il vento va avanti per capricciosi semicerchi, spire, stalli di sasso e repentine diagonali, è ingovernabile: la manovra di mettere le vele al vento richiede infatti guizzo, muscoli, opportunismo, l’agilità di saltare in groppa all’attimo che fugge. E per questo, alla fine, il giovane Cattaneo manifesta le sue inquietudini dello spirito, con poche paroline rapide e sommesse: “Da un lato ci sono gli elettori che ci danno fiducia, quando sappiamo darci una mossa, dall’altro c’è il Palazzo, c’è Forza Italia con il suo vuoto cosmico di idee. Ancora siamo fermi a Verdini che forse se ne va o forse no, a Brunetta che litigarella con Romani, al dramma di Fitto, alle medagliette e ai pennacchi da coordinatori regionali, al problema se Palmizio resta in Emilia, o se Caio e Sempronio vanno premiati con una caramella…”. E insomma, dice Cattaneo, non si può luccicare d’inventiva e al tempo stesso essere opachi: non esistono gioielli discreti. E lo dice con un tono da veterano dell’eterna guerra contro l’imprevedibilità del Cavaliere, ché alla fine tocca a lui decidere: luccicare o saltare in aria. Bisogna scegliere.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.