David Cameron (foto LaPresse)

Ulisse-Cameron

Gianni Castellaneta
Collegi inglesi alla mano, perché la navigazione del premier nelle acque europee non sarà semplice. Alcune considerazioni sulle elezioni che hanno dato la vittoria ai Tory, oltre quanto gia detto su una prima disanima dei numeri che il sistema elettorale inglese uninomale per singolo collegio tende a distorcere.

L’affermazione dei Tory alle elezioni britanniche si presta ad alcune considerazioni oltre quanto gia detto su una prima disanima dei numeri che il sistema elettorale inglese uninomale per singolo collegio tende a distorcere.

 

Primo. E’ senz’altro vero che, come era solito ripetere Giulio Andreotti, “il potere logora chi non ce l’ha”. Eppure sarebbe un errore ritenere che il risultato delle elezioni concentri maggiore potere nelle mani del primo ministro David Cameron. In teoria Cameron non avrà più necessità di condurre negoziati con partner di coalizione. In pratica, tuttavia, Cameron potrebbe trovarsi a pattinare su un ghiaccio ben più sottile che in passato. La maggioranza dei soli Tory è numericamente inferiore, in termine di seggi, rispetto alla coalizione che ha guidato la scorsa legislatura. Se dunque alcuni parlamentari diserteranno – come è avvenuto nel 2014 – è giocoforza che Cameron si trovi a camminare nell’equivalente parlamentare delle sabbie mobili. E’ corretto ritenere che oggi Cameron non sia esposto al ricatto dei suoi partner di coalizione, dal momento che non ha necessità di appoggiarsi a una coalizione. E’ altrettanto corretto, tuttavia, ipotizzare che di qui a non molto saranno i suoi stessi compagni di partito a condizionarne l’agenda.

 

Secondo. I Tory contano una folta rappresentanza di falchi euroscettici il cui principale intento è di spingere per l’uscita dalla Ue. Nella legislatura precedente, a controbilanciare questa tendenza vi erano i Liberaldemocratici, praticamente annichiliti dal responso delle urne. Questo fa quantomeno prevedere che Cameron avrà forti pressioni per tenere in vita il referendum “dentro o fuori” sulla permanenza nella Ue annunciato nel 2013 proprio per placare i falchi del proprio partito. Il punto, per Cameron, è di scegliere se imprimere al proprio partito una direzione netta – dentro o fuori – rispetto a una biforcazione politica. Cameron ha già lasciato intendere che si batterà per la permanenza del Regno Unito nella Ue unicamente se riuscirà a rinegoziare con successo con Bruxelles le condizioni per l’adesione alla Ue. E ovviamente saranno i falchi del suo partito a determinare se i negoziati si possano considerare un successo o meno.

 

Terzo. La disfatta dell’Ukip non deve fare perdere di vista la forza del sentimento anti-Ue nel Regno Unito. È vero che l’Ukip ha conquistato un solo seggio, ma è vero che il 14 per cento degli inglesi l’ha votato. Se poi si guarda ai singoli collegi, si scopre che l’Ukip è arrivato terzo in 364 collegi, seconda in 120. Un progresso rispetto al 2010, quando arrivò terzo solo in quattro collegi, e mai prima né seconda. Anche se il destino dell’Ukip è difficilmente prevedibile, resta il dato molto significativo di un sostegno vasto per la piattaforma dell’Ukip, che proprio sulla propria battaglia anti Ue può provare a fissare la propria linea del Piave. 

 

Quarto. Il successo dello Scottish National Party (Snp) riflette la drastica crescita della politica scozzese dopo il referendum del settembre 2014. E’ chiaro che lo Snp avrebbe avuto maggiore peso in caso di vittoria del Labour, tuttavia dall’alto dei suoi 56 parlamentari le preoccupazioni degli scozzesi avranno ampia circolazione a Londra. Difficile che si riproponga subito un referendum per l’emancipazione della Scozia – il petrolio basso mina alla radice l’autosufficienza economica di Edimburgo. Ma se il barile tornasse a crescere con decisione, in Scozia si farebbe notare immediatamente l’“illegittimità” di un governo inglese che al di là del confine con la Scozia ha eletto appena un parlamentare Tory. Agli storici della politica viene spontaneo l’analogia con le elezioni del 1885, quando il partito irlandese conquistò ben 63 scranni a Londra. Ci vollero poi 35 anni e una Guerra mondiale perché l’Irlanda ottenesse l’indipendenza, ma è innegabile l’effetto slavinante di quella palla di neve elettorale.

 

[**Video_box_2**]A Ulisse-Cameron, dunque, tocca un quinquennio di navigazione politica difficile, tra la Scilla euroscettica dei falchi conservatori e la Cariddi degli indipendentisti scozzesi. Ironia della sorte, proprio la Scozia è la regione più filo-Ue del Regno Unito, quindi ogni ammiccamento ai falchi dei Tory avrà come effetto un inasprimento nelle posizioni indipendentistiche. E’ tutto da vedere quanta attenzione potrà dedicare alle questioni globali Londra. Al momento, il timore è che quasi tutte le risorse verranno assorbite dalla gestione politica spiccia. Invece quella attuale potrebbe un’occasione per l’intera Ue di ripensare una strategia comune e dar mano a una rinegoziazione epocale dei Trattati sui quali si fonda, che tenga conto delle mutate condizioni economiche e geopolitiche e provi a costruire l'Europa del terzo millennio.

Di più su questi argomenti: