Augusto Barbera

Barbera contro i mamelucchi che fanno guerra fanatica all'Italicum

Giuliano Ferrara
Il costituzionalista dice che la legge elettorale in approvazione alle Camere non è perfetta. Ma è la migliore possibile. Il coraggio intellettuale di un isolato della casta sacerdotale dell'immobilismo.

Mi lamento sempre, e non sono proprio il solo a farlo, perché in Italia scarseggiano intellettuali coraggiosi, mentre pullulano accademici superbanali che ripetono sempre la stessa cosa, in particolare quando si tratti di valori costituzionali, di politiche istituzionali. Come revulsivo rispetto a questi bulimici dell’ovvio cito sempre quasi il solo Angelo Panebianco, con le diramazioni della buona scuola liberale che fa riferimento al grande Nicola Matteucci, e pochissimi altri. Ma il costituzionalista Augusto Barbera non va dimenticato, non si lascia dimenticare, in quest’epoca di mamelucchi e altri sunniti del Corano costituzionale, rigidi protettori di un’ortodossia istituzionale rivelata loro su chissà quale monte, che proibisce ogni cambiamento, aggiustamento, ogni imperfezione migliorativa utile al procedere della vita sociale e repubblicana. Proibizione giustificata in nome della lotta contro la mutazione genetica, la degenerazione della democrazia e naturalmente la fine delle nostre care libertà. Ripetute da politici golosi di idee altrui, e gelosi di ogni potere non sufficientemente concertato con tutti loro, queste filastrocche servono egregiamente all’immobilismo della classe dirigente e alla guerra contro ogni forma di decisione politica significativa, da qualunque parte provenga sentita sempre come l’anomalia dell’uomo solo al comando, della leadership da delegittimare. 
Barbera, che non è un paradossista e un generico opinionista come chi scrive, è un giurista e un analista istituzionale con i controtitoli, ha scritto un meraviglioso saggio per Il Mulino, che non è un organo editoriale leggero, fogliante, esposto alla contraddizione del quotidiano, ma una rivista sapida e pesante, con il passo della conoscenza analitica dei problemi e un retroterra di serietà non seriosa.

 

Non sto a farla lunga. Barbera dice che la legge elettorale in approvazione alle Camere non è perfetta, e ciascuno può pensarne una migliore come per la formazione della nazionale di calcio, ma la campagna per distruggerla, non già e non solo quella che arriva dalle orde dei nemici politici del governo e del patto del Nazareno, ha nel linguaggio dei costituzionalisti d’assalto, i miei cari mamelucchi, un elemento di perfezione simile al rigor mortis. A scorno degli anatomopatologi del cadavere della Costituzione presunta, la loro, la legge è la migliore possibile nelle circostanze date, parlamentari e politiche, è utile a evitare elezioni neoproporzionalistiche con il Consultellum della Corte costituzionale, non presenta veri rischi per l’equilibrio e i contrappesi di una moderna democrazia occidentale. Barbera fa esempi calzanti, parla del sistema inglese, dei sempre evocati meccanismi del premierato, e denuncia con scherno ma senza disprezzo i cambiamenti di fronte delle Bindi, dei D’Alema e di tutti coloro che nel recente passato avevano abbracciato, con firme referendarie e altri ammennicoli delle buone coscienze, elementi contenuti in questa legge e oggi demonizzati senza ulteriori spiegazioni, per puro strumentalismo. Zagreb e Rodotà-tà-tà escono fatalmente ridimensionati, e rimpiccioliti alquanto, da questa requisitoria in forma di limpida expertise, che affida a “politiche costituzionali comparative”, a un pragmatismo motivato, argomentato e fondato sulle teorie a confronto con i fatti, ciò che i sacerdoti dell’ideologia costituzionale, cioè della falsa coscienza della Repubblica, vorrebbero sequestrare per un ossificato “diritto costituzionale”. 

 

[**Video_box_2**]Procura piacere mentale, e ammirazione, seguire il filo razionale e politico di Barbera, mettersi in ascolto delle sue osservazioni sulla soglia del premio di lista, sugli sbarramenti, sui capilista sicuri (perché, si domanda Barbera, non erano sicuri i capilista delle correnti di partito nell’epoca delle rimpiante preferenze?), insomma godersi lo spettacolo del coraggio intellettuale di un isolato della casta sacerdotale, uno che non vuole appartenenze corporativo-accademiche ma pensa con la sua testa, ecco: se i giornali e le televisioni si aprissero a queste idee, invece di triturare e ritriturare sempre lo stesso loglio fanatico dei mamelucchi, faremmo tutti un passo avanti e cominceremmo a parlare delle cose serie, cioè come far funzionare una democrazia moderna invece di scongiurarne la mutazione genetica con discorsi vaniloquenti, a casaccio. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.