Il senatore del Pd, Luigi Manconi (foto LaPresse)

A scuola di supplenza

Marianna Rizzini
Il Pd bolognese, Luigi Manconi e un suicidio che mette a nudo la subalternità tra partito e procura. Quello che pareva l’epilogo del caso di cronaca, con la farmacista che si toglie la vita e la toglie alla madre la sera dell’interrogatorio, lasciando un j’accuse contro il procuratore aggiunto Giovannini che, a suo dire, l’avrebbe trattata “come una criminale”, diventa un caso politico.

Roma. Gli elementi sulla scena, a Bologna, erano quelli di un caso di cronaca: l’omicidio-suicidio della farmacista incensurata Vera Guidetti e della sua anziana madre, l’ombra di una serie di furti d’arte con sospetta ricettazione, il possibile “uomo nero” (poi scarcerato) che si incarna nella figura del giostraio d’origine sinti Ivan Bonora, amico della donna suicida, e un interrogatorio molto prolungato della stessa Guidetti negli uffici della squadra mobile, come persona informata dei fatti (non in presenza di avvocati), ma con un quadro pesante a suo carico (gioielli e dipinti trovati nella sua abitazione), cosa che avrebbe reso possibile la sua iscrizione nel registro degli indagati (dunque assistita da un legale). Ma quello che pareva l’epilogo del caso di cronaca, con la farmacista che si toglie la vita e la toglie alla madre la sera dell’interrogatorio, lasciando un j’accuse (su un biglietto) contro il procuratore aggiunto Valter Giovannini che, a suo dire, l’avrebbe trattata “come una criminale”, diventa, a sorpresa, un caso politico e, soprattutto, un (altro?) caso di sospetta subalternità della politica alla magistratura.

 

Succede quando, da Roma, il senatore del Pd Luigi Manconi, presidente della commissione Bicamerale per i diritti umani, presenta un’interrogazione ai ministri della Giustizia e dell’Interno, per chiedere se non ritenessero “opportuno attivare… i poteri ispettivi presso la procura e la squadra mobile di Bologna”, considerato che “l’escussione testimoniale della signora Guidetti, evidentemente interessata da chiari indizi di colpevolezza, si sarebbe svolta senza alcuna garanzia difensiva”; che “della permanenza” della stessa in questura “non sarebbe stato informato il magistrato di turno” e che, al momento della scoperta del corpo e del biglietto d’accusa, “il procuratore aggiunto si recava nell’abitazione della donna, anticipando il pubblico ministero di turno…”.

 

[**Video_box_2**]Che c’entra il Pd locale? C’entra, nonostante la notizia fosse stata, fino a quel momento, trattata dalla stampa locale con titoli non proprio cubitali (i maligni a Bologna dicono: “Eh, c’è chi si autocensura un pochino, visto che il procuratore aggiunto tiene anche i rapporti con i media”; oppure: “In Emilia ci sono già state varie inchieste sulle spese pazze alla regione, e magari qualcuno pensa che sia meglio non farsi troppi nemici in procura”). E allora quale migliore occasione per dilaniarsi, nel partito locale, e più che altro dissociarsi (dall’atto di Manconi), difendendo a spada tratta Giovannini, contro il quale, nel frattempo, sono comparse scritte minacciose sui muri di Bologna, ovviamente deprecate da tutto il mondo politico? Ed è una rincorsa a chi si dissocia di più: l’assessore ai Trasporti ed ex segretario locale dem Raffaele Donini dice che Manconi “ha perso una straordinaria occasione per stare zitto”; il deputato bolognese dem Andrea De Maria dice che “l’iniziativa di Manconi non è concordata con i parlamentari del Pd, e questo è singolare”; il segretario cittadino del Pd Francesco Critelli dice che se l’interrogazione di Manconi “presuppone un atto d’accusa nei confronti di Giovannini e della procura”, lui si sente in dovere di “prenderne pienamente le distanze”, e il capogruppo pd in comune Claudio Mazzanti dice che “Manconi avrà la sue buone motivazioni, ma questo non c’entra nulla con le minacce a Giovannini”. Quando poi Manconi definisce “tragicamente grottesco” che, in presenza di un suicidio di una persona e “… nel corso di un’indagine quantomeno controversa, l’unica preoccupazione di alcuni esponenti del Pd bolognese sia quella di criticare la mia richiesta di dissipare ogni dubbio e fugare ogni perplessità…”, l’assessore Donini insorge al grido di “critiche berlusconiane!”. E tutte le dichiarazioni sull’autonomia della politica rispetto alla magistratura?, si domanda il senatore Manconi, vedendo che “qualche rappresentante della politica”, lassù in Emilia, si adopera “esclusivamente… per intrattenere buoni rapporti con la procura”. E alla fine la solidarietà la trova Manconi, sì, ma soltanto su Facebook, tra giornalisti e amministratori locali (eccezion fatta per l’appoggio del parlamentare bolognese del Pd Sergio Lo Giudice).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.