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Piccola Posta

Tutta questa visibilità non ha allargato di un millimetro lo spazio di vita in carcere

Adriano Sofri

I dibattiti sulla decarcerizzazione sono in proporzione inversa all’aumento della popolazione detenuta. Guardare a ingrandimento Ucraina e Gaza e Cisgiordania e perfino il Sudan e la Nigeria non fa diminuire morti e feriti. Fa piangere, e però rallegrarsi di essere altrove. A piede libero

Fu una rivelazione quando i detenuti evasero dall’invisibilità. Non scavarono più col cucchiaio una galleria sotto terra: salirono sui tetti a torso nudo o in canottiera, le donne in biancheria, inalberando cartelli improvvisati che dicevano viva la libertà e dicevano noi siamo vivi, esistiamo. Un’ascensione, un toccare il cielo con un dito. Le cose del carcere vanno da un estremo all’altro, dalla rivoluzione dell’abolizione della galera al riformismo del fornellino. E’ così con le case chiuse. Era un mondo di case chiuse. Vietato entrare. Vietato, severamente, rigorosamente, guardare – sbirciare. Mondi invisibili. Casini caserme manicomi fabbriche ospedali anche le università – solo le chiese erano aperte, anzi avevano almeno due uscite, se si fosse inseguiti, ora sono chiuse anche loro, per non far rubare le elemosine. Non ci sono più elemosine. La verticalizzazione si perfezionò con i letti a castello. Un piano alla volta, fino a sfregare il soffitto col naso. Fino a che un responsabile non avvertì che sarebbe crollato il pavimento. 

 

Ora c’è una magnifica visibilità. L’altroieri a Roma, benché con Rita e Nessuno Tocchi ci fosse il patrocinio del Senato e la persona stessa del senatore presidente, a due detenuti scrittori come Alemanno e Falbo era stato vietato un permesso, ma si sono manifestati, parole e facce e corpi grazie all’animazione dell’intelligenza artificiale. Chissà come mai, 50 anni dopo la riforma penitenziaria – che rivelò che la terapia carceraria potesse essere personalizzata, come quella degli altri tumori – tutta questa visibilità, questo visibilio, non ha allargato di un millimetro lo spazio di vita di carcerati e carcerieri. Contro il feticismo della certezza della pena: la galera è un’attesa. Gozzini lasciò entrare nell’attesa la speranza. La convalescenza. Di lì a pochi anni Mario Gozzini constatava la liquidazione della sua riforma. Ne arrivarono altre, e altrettante, puntuali, liquidazioni. Anzi, di più. Ora si procede anche a circolari, firmate Sisifo. 

 

I problemi di galera sono superiori alle forze della vetrina universale. Si compiacciono dei superlativi: supercarcere, sovraffollamento… Dentro invece, diminutivi, vezzeggiativi: fra un attimino, fai domandina. (Come in ospedale, una punturina). Voglio morire – fai domandina. Voglio una donna – fai domandina. Impedire di fare l’amore è come impedire di nutrirsi. Di respirare. Del resto è quello che ha vantato un esponente del governo che si figura investito dell’autorità sui prigionieri: Non lasciamo respirare chi è nel blindato. Il Vaticano ha appena ribadito che la sessualità è un complemento prezioso delle relazioni umane, non una pratica di procreazione. In galera, zitti zitti, dopo solo cinquant’anni, due coppie in due carceri grazie a due giudici, hanno fatto l’amore. E altre due, in altri due carceri eccetera, si annunciano. Un giorno, fra cinquant’anni, ci metteremo una targa, completa delle iniziali degli esploratori del nuovo mondo. Qui finalmente…

 

La proporzionalità delle pene. L’altro giorno un pm turco ha chiesto 2.532 anni per Imamoglu – innocente, ma a questi livelli innocente o colpevole chi se ne frega. La Knesset vota la pena di morte, appena un passo in più. L’ergastolo, quando i costituenti decisero di tenerlo (fra i contrari si sarebbe poi annoverato il professor Aldo Moro), e l’aspettativa di vita nel 1947 si aggirava sui 57 anni, un gran criminale di vent’anni avrebbe di fatto avuto una condanna a 37 anni. Oggi, con vita media di 83 anni e passa, l’ergastolo di un ventenne gli vale una condanna a 63 anni. Lo dico così, non perché allunghino le pene, come con le pensioni (tanto lo fanno già dalla mattina alla sera, sono allungatori di pene) ma per far considerare di quanto tempo in più dispone un reo o comunque un condannato per rieducarsi e risocializzarsi.

 

Io sono già andato in galera in due vite, fra loro lontane, e non dispero di una terza: la prima in un reparto di politici e scabbiosi. Oggi si registra il ritorno della scabbia. Il mondo gira. (L’altro giorno ero in galera a Bologna, faceva un freddo, ero felice). Una signora piangeva. Chiedo da non so quanti mesi che mi avvicinino ai miei famigliari. Vorrei fare uno sciopero della fame, ma non ho mai avuto un rapporto, e con queste nuove regole ho paura che se digiuno mi faranno rapporto. Ci si interroga, male, sul drammatico fenomeno dei suicidi in carcere. Non bisogna chiedersi perché tanti detenuti si suicidino, ma come mai tantissimi detenuti non si suicidino.

 

La Russa, chissà con quali intenzioni, chi se ne fotte delle intenzioni, sono sempre diaboliche, soprattutto le migliori, La Russa patrocina, come me, convegni sulla opportunità che gli aspiranti magistrati trascorrano un loro tirocinio in galera, e ora ha auspicato che chi ha un fine pena vicino lo passi a casa, dato che c’è il Natale e la Bontà, e si sono sprecati il Ferragosto e la Calura, e ha aggiunto una nota poetica, “a casa o dentro di sé”. Bene. Non succederà. Starà nel conto delle cose che ce le hanno date ma almeno gliele abbiamo dette. E del mistero della grande visibilità che continua a rendere invisibili. I dibattiti sulla decarcerizzazione sono in proporzione inversa all’aumento della popolazione detenuta. E’ così che va il mondo aperto. Guardare a ingrandimento Ucraina e Gaza e Cisgiordania e perfino, appena venti centimetri più in là, il Sudan e la Nigeria, non fa diminuire morti e feriti. Fa piangere, e però rallegrarsi di essere altrove. A piede libero. Come godere della propria libertà provvisoria meglio che allo spettacolo della gabbia d’altri? 

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