Piccola Posta

La geniale interpretazione del "Vampiro" di E.T.A Hoffmann

Adriano Sofri

Una metafora dell'avvento del nazismo in Germania. Così Furio Jesi (che selezionerei fra gli autori di un'antologia di saggi) rilegge il racconto scritto nel 1821

Cari Berardinelli e Marchesini, allora avrei senz’altro voluto Furio Jesi fra gli autori di un’antologia di saggi. E, per esempio, se non vigessero esclusioni tassative a brani estratti da libri o testi più ampi, avrei scelto le pagine, da “Cultura di destra”, in cui Jesi richiama il racconto di E.T.A. Hoffmann, “Il vampiro” (1821) e vi legge l’avvento del nazismo in Germania. Nella novella, il Conte Ippolito si impegna ad ammodernare e razionalizzare il feudo ereditato per farne une tenuta modello – benché curi anche la chiesa e il camposanto – e non si preoccupa di cercar moglie, finché arrivano al castello una baronessa vecchia e brutta e sua figlia giovane e bella, di cui subito si innamora, ricambiato.

Alla vigilia delle nozze la vecchia è ritrovata morta nel cimitero, che già frequentava troppo assiduamente. Si celebra lo stesso il matrimonio, ma la giovane moglie è sempre afflitta da una strana angoscia. Nasconde qualcosa, e poi rivela al marito di essere assillata dall’incubo dell’infanzia e dell’adolescenza vissute con la madre, che forse ebbe una parte nella morte del padre e che dopo, priva di denaro, si fece mantenere da un avventuriero, in realtà figlio di un boia e per di più marchiato a fuoco come un criminale. E la madre aveva anche tentato di passare la figlia adolescente all’amante, per interesse. Ippolito è straordinariamente comprensivo, ma nel comportamento della donna resta qualcosa di inspiegato. A tavola ha un’assoluta ripugnanza per la carne, e si fa sempre più triste. Il medico chiamato a curarla finisce per arrendersi a una forza maligna e sconosciuta. Ippolito una sera finge di bere la tisana che sempre la moglie gli prepara e, simulato il sonno, la segue mentre lei si avvia al cimitero. Là lei con altre donne smembra e divora un cadavere. Il giorno dopo, quando Ippolito la accusa delle sue nefandezze, la donna cerca di morderlo al petto, svelando la propria natura di strega-vampiro-cannibale, e cade morta. “Il conte impazzì”.


La parafrasi con l’interpretazione di Jesi, “il nostro gioco di società”, dice, l’“INTERPRETAZIONE STORICO-SOCIOLOGICA DELLA NOVELLA COME TESTO ALLEGORICO-PROFETICO”. “Il conte Ippolito è il capitalismo dell’aristocrazia terriera e imprenditoriale della Germania guglielmina: vuole riappropriarsi del feudo razionalizzandone le modalità di usufrutto in base a moderni criteri ma restando almeno formalmente ligio a convenzioni religiose (la Chiesa) e a un pio rapporto con la tradizione degli avi (il cimitero). Questo impegno lo disumanizza (egli trascura gli affari di cuore, non si cerca una moglie). La vecchia baronessa è la maschera di decoroso rispetto – verso quell’aristocrazia terriera e imprenditoriale – assunta da leader avventurieri e criminali delle classi più avvilite come la piccola borghesia impoverita, il proletariato e il sottoproletariato reazionari (il figlio del boia): se il conte Ippolito è Hindenburg, von Papen o Krupp, la vecchia baronessa è la giacca del tight e l’inchino di Hitler, che si piega in due dinanzi al Feldmaresciallo presidente della Repubblica. La figlia della baronessa, giovane, bella, pura, seducente, è l’ordine nuovo ma apparentemente garante dei valori tradizionali, partorito dagli infimi mascherati da persone dabbene e tale da suscitare un coup de foudre nelle classi sociali più elevate.

Sembra che il coup de foudre sia reciproco e che anche l’ordine nuovo ami con tutto il cuore l’aristocrazia (del sangue, della spada, dell’industria); ma qualcosa non va. L’abito da cerimonia di Hitler viene un po’ impillaccherato e stropicciato da comportamenti disdicevoli dei suoi seguaci: la baronessa sembra ogni tanto un orripilante cadavere e frequenta un po’ troppo il cimitero. Anche questo ostacolo viene rimosso, la vecchia baronessa muore (gli aspetti più urtanti dell’ordine nuovo sono apparentemente eliminati con il massacro di Röhm e delle sue SA), ma qualcosa ancora non va.

Nel comportamento dei nazisti c’è una componente bizzarra e insidiosa che l’élite aristocratica e capitalistica non riesce bene a capire, e sottovaluta. Il matrimonio s’è fatto, il conte Ippolito è convinto di aver fatto sua la giovane, von Papen dichiara agli intimi che Hitler, una volta ‘sposato’, non darà motivo di timori. Ma il disagio persiste e il medico, che è Thomas Mann, preferisce andarsene perché si accorge che sono in gioco forze maligne; la Repubblica di Weimar non può essere salvata. Mangiare carne animale è esercitare in modo tradizionale lo sfruttamento e il potere; l’ordine nuovo si rifiuta di farlo, vuole altro: non vuole mangiare carne animale (lo sfruttamento ‘democratico’), ma vuole dilaniare carne umana (gli orrori del nazismo). Tardi, a matrimonio avvenuto, viene scoperto e si stabilisce una situazione di conflitto (la Seconda Guerra Mondiale); l’ordine nuovo non esita ad aggredire l’élite aristocratica e capitalistica, fuori dalla Germania e perfino in Germania. Non ci riesce bene, cade morto (fine della Seconda Guerra Mondiale), ma il suo avversario (l’élite aristocratica e capitalistica) impazzisce”. 
(La parafrasi è geniale, anche se ignora la componente di genere – Ippolito è maschio, la sposa è vampiro donna). Ecco, resta da leggere il racconto nell’originale. 
 

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