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Piccola Posta

Il racconto dei Settanta, tra reducismo ed epopea

Adriano Sofri

Spesso toni trionfalistici sono riservati a fenomeni terminali e striminziti di quelle stagioni. Si ricordi l'autore o autrice (anonimo/a) del più significativo, duraturo e attuale degli slogan

Sono alieno dal reducismo, anzi, siccome le guerre o le loro parodie si moltiplicano, dai reducismi. Per di più, il reducismo è un atteggiamento che riesce anche a prescindere dall’aver partecipato di una qualunque guerricciola: si può vantarsi o lagnarsi, semplicemente, reduci della propria vita. Per dovere d’ufficio ho sfogliato la pubblicistica sul cosiddetto Sessantotto, sugli Anni Settanta, sugli Anni di Piombo e gli altri titoli analoghi, prodotta da studiosi o studenti che non c’erano, se non altro per ragioni d’età.

Mi colpisce, più che un’impressione di estraneità ad alcune ricostruzioni, tipica della differenza fra attori-testimoni e studiosi postumi – accresciuta dalla longevità dei primi e dall’impazienza dei secondi – un diffuso tono da epopea, riservato non di rado ai fenomeni terminali e striminziti di quelle stagioni. Delle quali oggi vorrei specialmente celebrare l’autrice o l’autore anonimi – salvo che se ne conosca il nome, e io non lo sappia - dello slogan, se non il più significativo, il più duraturo e attuale (non ho fatto che scandirlo, ieri): “Scemo, scemo”. 

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