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UN ANNO DOPO LA STRAGE DI NOVI SAD
Quelle migliaia di giovani all'addiaccio nella notte serba, sfidando il regime
Il primo novembre 2024 una pensilina della stazione, costruita in modo da guadagnarci bene sopra, crollò uccidendo 16 persone. Centinaia e migliaia di persone sono scese in piazza denunciando la corruzione del regime e rivendicando le dimissioni della presidenza e del governo
Novi Sad è il capoluogo della Vojvodina, sul Danubio, nel nord della Serbia. Un anno fa, il 1° novembre, una pensilina della stazione, costruita in modo da guadagnarci bene sopra, crollò uccidendo 16 persone. Da allora decine e centinaia di migliaia di persone, guidate dagli studenti, hanno occupato strade e piazze dell’intero paese, prima denunciando la famigerata corruzione del regime e i legami con la malavita, poi rivendicando le dimissioni della presidenza e del governo e nuove elezioni. Oggi, nell’anniversario, un’altra grande manifestazione è convocata a Novi Sad, dove sono arrivati in tanti a piedi da Belgrado e dalle altre regioni. A piedi una delegazione di studenti raggiunse anche il parlamento europeo. Il quale il 22 ottobre ha approvato a larghissima maggioranza una risoluzione insolitamente dura contro i metodi di repressione delle proteste studentesche, e la promozione di contromanifestazioni servizievoli.
All’altro capo della Serbia, a Niš, che non aveva mai visto niente del genere, una enorme manifestazione del 1° marzo si era conclusa con un “Editto degli studenti”, che evocava creativamente l’Editto di Costantino, Milano 313 – Costantino ci era nato, allora si chiamava Naissos. Un movimento così vasto e duraturo non comincia per caso: era il frutto della corruzione e insieme della miseria di un regime accanito nel tenere insieme il proposito di essere accolto nell’Unione europea, e intanto goderne i benefici, all’ungherese, e il legame con il nazionalismo ortodosso e la Russia di Putin, la cui gelosa violenza contro l’Ucraina era stata anticipata da quella serba e serbo-bosniaca contro la Bosnia cosmopolita e musulmana della cosiddetta guerra civile post yugoslava, così volentieri dimenticata da noi. E ieri migliaia di giovani in cammino da Belgrado a Novi Sad hanno trascorso la notte in strada a Indjija, dove il comune aveva serrato le scuole per tenerli all’addiaccio.
Il movimento era costato il posto al primo ministro, ma non al presidente Aleksandar Vucicć, che resiste alla richiesta di nuove elezioni politiche. Cui, se ci fossero, gli attivisti del movimento potrebbero partecipare, forse anche con liste diverse. Doveva succedere. Proprio il giorno prima della strage di Novi Sad, il 31 ottobre dell’anno scorso, un gruppo di studenti e di intellettuali di Belgrado avevano inaugurato un presidio permanente contro la distruzione di un ponte storico sulla Sava, destinato a essere sostituito da uno nuovo e colossale: questione a noi familiare. Tanto più ai nostri dirimpettai ex yugoslavi, nella cui storia sta il ponte sulla Drina, e quello, anche lui ottomano (1566), “il Vecchio”, che dà il nome a Mostar, e che nel 1993 fu il bersaglio dell’artiglieria nazionalista croato-erzegovese fino a stramazzare nella Neretva, separando fisicamente e simbolicamente la parte musulmana della città da quella cristiana.
Anche il ponte sulla Sava – che a Belgrado si incrocia con il Danubio – era chiamato Stari Savski, il vecchio, benché risalisse solo agli anni 1940, e fosse stato salvato nel 1945 dalla ritirata tedesca grazie a un audace insegnante di storia e geografia, Miladin Zarićc, che riuscì a tagliare le micce collegate alla dinamite. L’opposizione dei giovani belgradesi, che si è nominata Most ostaje, Il ponte resiste, è costata già la prigione ad alcuni di loro, compreso un artista e scrittore serbo-fiorentino – a Firenze ha studiato e insegna – Dejan Atanackovicć, il cui romanzo “Lusitania” ha ottenuto in Serbia il più importante riconoscimento letterario, il Premio Nin, ed è appena uscito in Italia per l’editrice Bottega Errante. Alla repressione che da un certo punto in poi si è fatta violenta si è affiancato un tentativo di contendere al movimento l’impronta europeista e antinazionalista con la simulazione di un patriottismo di destra, che si rivendica ostile alla svendita dei valori nazionali, specialmente sul nervo sempre scoperto del Kosovo.
Il linguaggio serbo ha così ospitato una parola singolare, “autošovinizam” – autosciovinismo: rivolta, se ho capito bene, contro quei serbi che dichiarano di volersi confrontare coi crimini commessi nelle guerre degli anni ’90, accusati di trascurare i crimini degli altri e dunque di fare il gioco degli odiatori della Serbia: un altro nome per l’antica categoria dei rinnegati. Prima che agenti del nemico, individui dalla tempra debole e femminea, che si vergognano delle proprie radici, e lucrano su quella vergogna… “E’ una cosa proverbiale che la società serba è divisa – la percezione del passato, le idee politiche ecc., – ma la vera divisione è tra coloro che riconoscono nei crimini degli anni Novanta la causa della maggior parte dei problemi con cui conviviamo oggi, e coloro che li minimizzano, relativizzano o negano – e inventano delle parole cretine”.
meglio giovani e fortunati
Machiavelli terrebbe in gran conto l'età di Mamdani, principe a New York
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