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Piccola Posta
“L'adorabile Sciascia” e le "scuse" di Bufalino dopo la strage di Capaci
Nel libro di Antonio Di Grado (sono adorabili sia il libro sia il suo autore, oltre al suo soggetto) si ricorda un episodio poco noto del rapporto fra Sciascia e Bufalino. Quest'ultimo, nel maggio della strage di Capaci, si lasciò andare a uno sfogo sul Dna dei siciliani: "Bisognerebbe mutarlo"
Nella pagina più commossa e fraterna dedicata a Pasolini, in apertura dell’Affare Moro, Leonardo Sciascia ricordò l’aggettivo così pasoliniano, “adorabile”, e così estraneo a lui, se non in due eccezioni, “per una sola donna, e un solo scrittore, e lo scrittore è Stendhal”. Antonio Di Grado ha intitolato un suo nuovo libro così: “L’adorabile Sciascia”. Adorabile, dice, lo scrittore e l’uomo, e lo illustra attraverso una serie di vicende segnate soprattutto dall’amicizia e dal suo frequente complemento, la rottura. E concluse dal ricordo netto di Anna Maria Ortese: “Pochi intendono la vita, e la morale, come pratica (appena possibile) oltre che luminosa teoria. Lui praticava ovunque, credo, la fraternità”.
Nel capitolo dedicato al legame fra Sciascia (che morì nel 1989) e Bufalino, Di Grado rievoca un episodio poco noto, a me ignoto. Nel maggio 1992 della strage di Capaci, interrogato da qualche giornalista, Bufalino si lasciò andare a uno sfogo paradossale: “Il riscatto della Sicilia? Bisognerebbe mutare il Dna dei siciliani. E dunque bisognerebbe augurarsi qualche nuova invasione straniera…”. Scandalo e baccano. Invitato a ribattere, Di Grado deprecò le sentinelle dell’impegno e del chiasso, ma cedette, riconosce ora lealmente, a “una reprimenda garbata, forse stucchevolmente paternalistica”, nei confronti di Bufalino, che gli rispose sullo stesso giornale in modo “tanto più felice e originale”.
La copio, quella replica ironica e affabile di Bufalino, che si apre parafrasando Leopardi: “Errai, candido Antonio, / assai gran tempo / e di gran lunga errai… Così vorrei ritrattare quella famosa proposizione sul Dna siciliano sfuggita a telefono, lo stesso giorno dei funerali di Falcone, fra raccapriccio, sdegno e sgomento. Non pensai, pronunziandola, se e quanto si accordasse col sentimento di umiliato orgoglio che nutro nei riguardi della mia terra (‘il funebre lusso di essere siciliani’, sono solito dire); né sospettai di offendere il geloso patriottismo di tanta gente… Ora, come Lei avrà visto nell’ultimo Venerdì di ’Repubblica’, ben otto valentuomini sono stati chiamati per redarguirmi. E se taluno (gliene sono grato) ha colto il senso di paradosso doloroso che era implicito nel mio sfogo, i più sono saliti a cavallo e poco è mancato non m’arruolassero sotto le bandiere di Gheddafi o di Bossi. Rispondergli? Ahimè, otto Curiazi sono troppi per un solo e malandato Orazio. Né avrei scritto queste stesse righe se non credessi doveroso rispondere alla sua urbanità e far sentire ai lettori de ‘La Sicilia’ un sia pur flebile rintocco della mia campana. Grazie, caro Antonio, di avermene dato l’agio, permettendomi di ribadire la mia fede nelle magnifiche e progressive sorti dell’isola, nonché nell’eccellenza delle nostre virtù. Quanto ai nostri mali, ci sono, chi dice di no, ma i colpevoli sono tutti altrove, lungo la penisola, dalle Alpi a Reggio Calabria. Noi, si sa, siamo dèi. Non mi resta a questo punto che chiedere scusa ancora per quelle parole impulsive. Con una promessa: al prossimo omicidio, starò più attento”.
“Il fioretto di don Gesualdo – dichiara cavalleresco Di Grado – mi atterrò”. “L’adorabile Sciascia”. Quaderni di Regalpetra, Rubbettino, pp.157, 12 euro.