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Piccola Posta

Basta osservare una carta geografica per capire il gioco di Putin

Adriano Sofri

Il capo del Cremlino dichiara sprezzantemente di non avere la minima intenzione di attaccare l'Europa. Ma resta il sentimento dei paesi che la geografia ha reso confinanti della Federazione russa e che ne sentono il fiato addosso

Uno mi ha scritto: “Prevaleva fino a ieri l’idea che Trump fosse un gangster. Alla luce delle novità è giusto porsi la domanda: e se invece fosse, prima di tutto, un coglione?”. Il guaio è che le due cose stanno bene assieme. E’ evidente che dal tappeto rosso srotolato alla buona dai militari americani genuflessi ad Anchorage, Putin è arrivato direttamente alla schiacciante coreografia di Pechino.

Ora però è il momento per noi, io, voi, di guardare più attentamente alle cose come chi non può aspirare né a essere un passabile gangster né un mezzo dittatore, salvo qualche sfogo manesco in famiglia e verbale sui social, dunque senza alternativa: un coglione. E riconoscere altre evidenze. Per esempio: che l’idea della garanzia di sicurezza offerta all’Ucraina senza ingresso nella Nato ma come se valesse l’articolo 5, è priva di qualsiasi senso ed è ridicola o offensiva, come preferite. Non scommetterei un euro sulla probabilità che la Germania intervenisse al fianco della Francia aggredita, figurarsi il finto articolo 5 per l’Ucraina. (Dell’Italia, carità).

Ora, Putin, che ha il vento in poppa e la Cina a prua, dichiara sprezzantemente di non avere la minima intenzione di attaccare l’Europa, confermando la fiducia cordiale che ripongono in lui molti dei nostri qui. In effetti, nonostante i conti esatti e ostentati del suo pagliaccio Medvedev sui minuti occorrenti alle testate nucleari russe per incenerire definitivamente Notre-Dame, Parigi resta a una distanza abbastanza notevole da Mosca. (E fu Parigi, l’altra volta, a spingersi fin dentro Mosca, e non l’avesse mai fatto, Putin lo rinfaccia ancora a Macron. C’è un aneddoto su Stalin a Berlino nel 1945 per la Conferenza di Potsdam, l’ambasciatore americano gli chiede cosa provi a trovarsi nella capitale del nemico sconfitto, e Stalin: “Lo zar Alessandro I arrivò fino a Parigi”).

Resta l’opinione, e il sentimento, molto diverso dei paesi che la geografia ha reso confinanti della Federazione russa, e che ne sentono il fiato addosso. Sono i paesi baltici, ai quali è stato mille volte ricordato dal Cremlino che ospitano minoranze russofone, e che dove si parla russo là è Russia. E loro si affrettarono a entrare nella Nato, e ad attaccarsi all’articolo 5. Com’è successo alla Finlandia, la quale nella Nato è entrata addirittura durante l’invasione dell’Ucraina, che la Russia di Putin e i suoi tifosi internazionali – Trump e Xi e un po’ anche il Papa Francesco compresi – spiegano con l’inaccettabile minaccia della Nato al confine russo. Accettata questa motivazione, che cosa devono aspettarsi i finlandesi della Nato che con la Russia hanno un confine di 1.340 chilometri – il più lungo d’Europa? Dei trascorsi della Polonia non occorre riparlare. Questo per dire che se io fossi finlandese o baltico prenderei sul serio come i baltici e i finlandesi i giochi di mano di Putin. E anche se fossi un polacco o un lituano confinante con Kaliningrad, che sembra circondata da Lituania e Polonia e Mar Baltico ma in realtà le circonda, basta girare la carta mentale. Se fossi georgiano poi, non dovrei fare sforzi di immaginazione.


Questa ricapitolazione era solo una premessa. (Noi non facciamo che passare da una capitolazione all’altra). Infatti io, nihil humani eccetera cioè coglione eccetera, sono in grado di entrare mentalmente anche nei panni dei gangster del Cremlino. La cui ossessione di reimpadronirsi dell’Ucraina, come quella del carceriere umiliato perché gli è scappata la prigioniera più preziosa, è così manifesta da lasciare solo la differenza fra chi tifa per l’evasa e chi per il carceriere. La posta provvisoria e apparente è il territorio, quella sostanziale è il regime da insediare a Kyiv, cioè a Kiev. Ma anche questa è una premessa. L’Urss senza Ucraina e Bielorussia non era l’Urss, e lo stesso vale per la Russia di oggi. Ma chi guardi la carta geografica da Mosca, in questi tempi napoleonisti alla rovescia, non può non allungare lo sguardo lungo la frontiera orientale-meridionale dell’Europa.

Alla parata di Pechino era presente lo slovacco Robert Fico, premier di un paese Nato, di cui si immagina facilmente dove lo metterebbe l’articolo 5. (L’Unione Europea ha precisato che Fico non era là a nome dell’Unione europea: spiritosa). Era presente il presidente della Repubblica di Serbia Aleksandar Vucic, che trepida di essere accolto finalmente nella Ue. Vucic era già andato a Mosca il 9 maggio, alla parata per l’80esimo della vittoria nella Grande Guerra Patriottica, in compagnia del gangster della Republika Srpska, Milorad Dodik, quello che non ha visto Srebrenica, e la rifarebbe. A Pechino, le cronache riferiscono del cordiale colloquio in russo di Vucčic con Putin, in cui ha rivendicato: “Siamo l’unico paese europeo che non ha imposto sanzioni alla Russia”. Ha le strade e le piazze contro, Vucic, ma ha portato in Cina il vanto della fresca cancellazione dell’EuroPride, in calendario a Belgrado per settembre: “L’estrema destra e la Chiesa ortodossa erano contrarie e non si può avere tutto”. Putin annuiva.


A Pechino non c’era il presidente ungherese Viktor Orbán, senz’altro presente in spirito; in corpo c’era stato nel luglio dell’anno scorso, subito dopo un passaggio a Mosca, quando era presidente semestrale di turno dell’Unione, i cui uffici avevano dovuto al solito correre verbalmente ai ripari: non viaggiava per loro conto. Spiritosi.


Ora prendete una carta geografica, e guardatela, diciamo, dalla Crimea, che nessuno ve la toglie. C’è l’Ucraina e la sua magnifica costa sul Mar Nero, a un’ora d’aereo da Istanbul (altra capitale Nato presente a Pechino): la foce del Dnipro, una sponda già in mano russa, e giù Mykolaiv e Odessa, mai dimenticate, e oltre la foce del Dnistro, del Danubio, la Transnistria, già in proprietà, la Moldavia insidiata, la Romania strategica, che solo l’episodio senza precedenti (con molti probabili seguiti) dell’annullamento di un’elezione nel dicembre 2024 ha in extremis sottratto a un quisling filorusso. Tra Moldavia e Romania e Ungheria, e Slovacchia e Serbia, non c’è soluzione di continuità. Agli occhi di chi sta giocando con la carta geografica l’Adriatico bagna quasi la Russia. Da farsi venire l’acquolina.