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Piccola Posta
Zelensky alla Casa Bianca e un'invasione di capre
Mentre attendevo l'ingresso del presidente ucraino nella tana del lupo, leggevo delle caprette sull'isola di Stromboli, in particolare a Ginostra. Giorni fa, a Marciano Marina, avevo risentito anche la storia della pecorella smarrita
Aspettavo l’ora dell’ingresso di Zelensky nella tana del lupo come un solitario agnello da tosare, e poi del suo piccolo gregge di pastori, e intanto leggevo le cronache agostane. Su Repubblica Alessandra Ziniti, che si è fatta una bella reputazione sconfessando l’invasione dei migranti umani e documentandone la falcidie, raccontava l’invasione di capre a Ginostra e in generale sull’isola di Stromboli. E’ come la controfigura della rappresentazione dell’invasione umana: due caprette introdotte nel dopoguerra, e intanto sono diventate duemila, e divorano capperi, cortecce di ulivi, “te le ritrovi sul letto”, “ti vengono a morire nel giardino”. Tanto più dopo lo tsunami del 2002, la diserzione umana del Covid, il rogo cinematografico del 2022.
Ziniti racconta l’avventura di due turisti romani, Anna e Marco, stretti fra lo strapiombo e l’assedio di decine di capre - succede sempre qualcosa a due che si chiamano Anna e Marco, un cane che li guarda, abbaia e se ne va. Giorni fa, a Marciana Marina, dove si girano, sapete, i delitti del BarLume, e s’incontrano mufloni dappertutto, avevo risentito la storia della pecorella smarrita. Vi ricordate forse l’episodio in cui il Viviani, Filippo Timi, è esiliato ad accudire un gregge di pecore e capre, che imparerà a guidare, essendone a sua volta guidato, fin dentro il paese. La circostanza porta un certo scompiglio sia nel film che nella realtà. Pecore e capre rompono le righe e si sparpagliano per il centro di Marciana: la città, anche per loro, rende liberi. Una volta faticosamente riportato l’ordine e fatto l’appello, manca una pecora. Si organizzano le ricerche, che si protrarranno invano.
Passa il tempo e Valerio, il responsabile della produzione, fidandosi dell’assicurazione dell’animalaro, che è il titolo romanesco dell’hollywoodiano animal trainer, decide di garantire che la pecorella smarrita è stata ritrovata, in un diffuso scetticismo. La popolazione locale infatti moltiplica le testimonianze sugli incontri con una grossa pecora arruffata e indifferente. Una sera, un anno dopo, il produttore, Carlo, e sua moglie Nora, in auto, illuminano un animale che a tutta prima prendono per un muflone, ma non ha corna adeguate. In compenso ha un mantello lanoso foltissimo e aggrovigliato: “rasta”. Ha un’aria tranquilla. Sembra non aver sofferto di un’esistenza tutt’altro che gregaria. La fotografano a beneficio del responsabile di produzione. E poi ci si interroga sulla capacità di svernare, di sfuggire alle minacce di predatori, e di rimediare alla grave siccità di cui intanto l’isola ha sofferto. Intanto la sindaca ha organizzato una ricerca fra volontari e addetti forestali che rintracciano la pecora, versione allargata del racconto evangelico. In conclusione, la fuggiasca viene sistemata presso un affidabile pastore di mezza costa. Così sia delle capre disperate di Ginostra.