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Piccola Posta
La voce del ricco, il povero del Vangelo e la nuvolaglia milanese
Francesco Micheli ha da poco pubblicato un'autobiografia intitolata "Il capitalista riluttante". L'autore è, appunto, un capitalista suo malgrado, piuttosto radicale quanto al denaro ("la divinità maligna") e denuncia da tempo la fine dell'ascensore sociale
C’era, a ridosso della nuvolaglia milanese, un’intervista a Francesco Micheli, su Repubblica, firmata da Andrea Greco. Ripresentava l’antico interrogativo della letteratura universale, se sia più interessante uno molto ricco o uno poverissimo. Incuriosito sono andato a leggere di Micheli, che è uomo di spirito, di ricordi romanzeschi e citazioni acute, ha quasi 88 anni, ha pubblicato da poco un’autobiografia per Solferino intitolata “Il capitalista riluttante”, facendo il verso al "Fondamentalista riluttante". Fa immaginare un capitalista, un finanziere di gran successo, più o meno suo malgrado. Qui l’alternativa è presto risolta: “Il povero riluttante” è una figura nobilmente numerosa, nelle stazioni e sotto i ponti – sia detto senza pauperismi.
Micheli è solitamente piuttosto radicale quanto al denaro. Anche ieri: “‘Il dio denaro, divinità maligna’, che ha imbrigliato gli amministratori locali nel ‘totale ripiegamento della funzione politica’ seguito alla fine del Pci”. Della superstizione del denaro dice che “la differenza, sostanziale, è che un tempo si confrontava con altre divinità parallele, religiose e politiche, oggi quasi scomparse”. Senza freni. “Così è spirata la Milano dei sindaci quali Carlo Tognoli, che faceva della sobrietà la sua cifra, la Milan col coeur in man, che ha lasciato il posto alla città che corre sulle ali dorate del denaro, dove il reddito da lavoro è superato dalla rendita e i ragazzi sognano tre o quattro appartamenti da affittare per sfangare la vita”. Accantonato il sapere in pro di narcisismo e consumismo, “ormai perfino le maggiori istituzioni culturali e della moda sono disguidate... Anche quelle milanesi, che un po’ conosco”. (Mi sono fatto distrarre per un momento dal disguidate, Crusca: pacco, bonifico, bagaglio che non sono giunti al destinatario). Micheli è stato un gran promotore del mercato dell’arte, viene da una famiglia di musicisti ed è lui stesso praticante e cultore della musica lirica e classica in genere e dei luoghi e dei momenti in cui la si celebra, a cominciare dalla Scala. Mi permetto di estrarre un suo tratto personale dalla relazione rispettiva col violino – il Guarneri del Gesù “Cannone” portato a Londra per un concerto memorabile del Premio Paganini – e la chitarra. “Una sera, alle 21.30, la segretaria di Cefis mi dice: ’Ci siamo dimenticati di uno che aspetta dalle tre del pomeriggio’. Era Berlusconi, sembrava un chitarrista”. E, per ribadire: “La musica di Bach o di Händel che si è sempre suonata nelle chiese e che oggi è stata sostituita dalle lagne di volonterosi chitarristi, che non ci avvicinano al trascendente”.
Micheli denuncia anche lui da tempo la fine dell’ascensore sociale. Dice: “Il dio denaro ha creato danni terribili sui giovani. In persone del tutto normali fa perdere la testa e la misura”. Frase consolante, secondo cui a fare molti soldi bisogni essere persone non del tutto normali. E’ milanese ma nato a Parma, con uno zio nell’Oltretorrente – quello degli Arditi del Popolo. Sua moglie, e la madre dei suoi figli, fu Anna Maria, Mimi, Basso, figlia di Lelio e Lisli, gran persone, genitori e figlia. Micheli – “Non distinguevo un’azione da una obbligazione” – lasciò le attività in Borsa nel 1969, quando aveva già “raggiunto la pace dei sensi sul piano economico”. Pronuncia frasi taglienti, come succede ad alcuni molto ricchi, Warren Buffett, specialmente, che adesso sarà furioso che Trump gli cambi la formula della Coca-Cola: “Nella malavita ti tagliano la gola, nella finanza ti tagliano i finanziamenti”. Della sua infanzia, ricordando l’uscita dei nazisti da Milano e l’arrivo dei partigiani, dice: “Mi colpì che fossero tutti in impermeabile, e non pioveva”. (Lo sapevamo, avevamo visto tutti le fotografie, ma perché? Per le tasche, direi. E poi erano belli, si aprivano come a sbocciare, sulle partigiane).
Starei per cedere alla tentazione di dichiarare più interessante un molto ricco. Se non ci fosse quel racconto dei vangeli. “Un tale si avvicinò a Gesù e gli disse: ‘Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?’. Egli rispose: ‘Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti’… Il giovane gli disse: ‘Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?’. Gli disse Gesù: ‘Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi’. Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché era molto ricco”.
(Poi il cammello e la cruna dell’ago eccetera: ma è probabile che fosse un errore di traduzione).