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Piccola Posta

Lucciole che talvolta riappaiono. Come quella notte a Srebrenica

Adriano Sofri

Va via la corrente di notte. Esco a guardare se il paese sia illuminato ed eccole, un baluginio a luce intermittente. Dieci anni fa, mentre tornavo da Srebrenica a Sarajevo, mi imbattei in una nevicata: nevicavano lucciole

Per gli animali notturni come me l’abitudine degli erogatori di corrente elettrica, comunque oggi si chiamino, di farla mancare nelle ore notturne, fottendosene di avvisare in anticipo, è molto antipatica. Fra domenica e lunedì, per esempio, all’una di notte, più o meno. Ero a due terzi del romanzo più avvincente di Andrea Camilleri, Il re di Girgenti. Ho delle candele, parecchie, ma uno si dice che fra poco la corrente tornerà. Probabilmente gli erogatori pensano che tanto la gente a quell’ora dorme, e non se ne accorge. Come i russi coi droni. Allora vado alla luce del telefono a controllare i tre punti in cui salta la corrente, il salvavita dentro e fuori e il contatore, per capire se è affare della mia casa o più generale. Sono spente anche le luci del giardino, mie e dei vicini. Poche cose danno soddisfazione come la scoperta che anche i vicini sono al buio, benché non lo sappiano. Esco a guardare nella valle, se il paese sia illuminato, il giorno è stato caldo, ora c’è un’aria fresca e umida, una luna splendente e quasi piena. E un baluginio di lucciole, maschi in movimento, a luce intermittente. Poche, com’è ormai, benché non siano mai scomparse del tutto, se non nell’annuncio di Pasolini seguito dal controannuncio di Sciascia: sono ricomparse. “Io darei l’intera Montedison per una lucciola”, aveva scritto Pasolini sul Corriere.

Era il 1975, l’anno in cui morì, siamo al cinquantenario. Intanto è scomparsa la Montedison, non rimpianta. Non so a quanti bambini oggi succeda di vedere le lucciole. Dieci anni fa riandai a Srebrenica, nel ventesimo anniversario dell’11 luglio del ’95, quel genocidio, sapete. Tornammo a Sarajevo di notte, in auto, il mio amico Gigio Huric guidava. Eravamo su una strada stretta di tornanti, in montagna, col bosco fitto ai lati, e improvvisamente ci trovammo in una nevicata: nevicavano lucciole, a bagliori fitti, come non le avevo mai viste. Ci fermammo a contemplare. Continuò così per chilometri e chilometri. Quest’anno conto di riandare a Srebrenica, gli anniversari ci assediano, sono trent’anni. E di tornare di notte, Gigio è in forma. Da allora so come si dice lucciola in bosniaco: Svitac (pronuncia: svitaz), plurale Svitce (pronuncia svitze). 
Verso le 3 e mezza è tornata la luce. 
 

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