(foto LaPresse)

Piccola posta

"Stranieri ovunque". Alla Biennale l'attenzione speciale al viandante

Adriano Sofri

Elsa Morante trepidava all'idea di non riconoscre in qualche strano ragazzo di passaggio un altro Rimbaud. Chi nasconde la presenza di un dio anche se non è nessuno

Se trasformista volesse dire quello che letteralmente dice, Pietrangelo Buttafuoco sarebbe il campione della categoria. Del resto il trasformismo, ipocrita pietra dello scandalo dell’attualità politica, ha anche ambiti più illesi, dalla biologia al teatro - e i suoi campioni, Leopoldo Fregoli e il grande erede, Arturo Brachetti. Sicché espressioni che sono diventate proverbialmente sprezzanti, come “il cambio di casacca”, descrivono anche un talento teatrale e in genere umano ammirevole. Cambiare casacca in venti secondi: applausi.

Dunque mercoledì abbiamo assistito alla prima di Buttafuoco con la casacca di presidente della Biennale di Venezia, in una congiuntura diplomaticamente inguaiata. Tempo di guerra. Buttafuoco, “sempre molto guardingo nelle sue dichiarazioni”, secondo la Stampa, ha esortato alla dialettica (un altro termine ambivalente, una sedia a dondolo insidiata dal capitombolo) e ha offerto una singolare genealogia della pace, dice il Corriere, passata per Kant, Kohl, Mitterrand, La Pira, Pio La Torre, e, a ritroso, Marco Polo, Enea, Dioniso e Gesù. Non si direbbe un elenco guardingo. Per di più tutto di maschi, sebbene per Dioniso almeno si possa discutere, forse anche per Gesù. E’ intitolata “Stranieri ovunque” la Biennale di quest’anno. Buttafuoco ha detto (la Repubblica) che “lo straniero è il viandante i cui stracci servono a nascondere la presenza di un dio. Lo straniero è Enea, fondatore della civiltà dell’universale dove nessuno è più un barbaro ma un cittadino”. Immagino che abbia citato anche lo straccione Odisseo di ritorno a Itaca, che è la più bella incarnazione del travestimento e dell’agnizione - del cane Argo, per primo. Quanto a Gesù, è anche lui un meraviglioso straccione davanti al mal di testa di Ponzio Pilato.

Conosco questa raccomandazione a stare sul chi vive di fronte allo sconosciuto dall’aspetto meschino, al barbone, al mendicante, alla pazza, al naufrago, alla drogata, al giardiniere. O a un cigno, un ragno, una fontana. Elsa Morante trepidava all’idea di non riconoscere in qualche strano ragazzo di passaggio un altro Rimbaud. Di questa attenzione, che è un nodo cruciale della bella mitologia, mi piace soprattutto una conseguenza successiva: che lo straniero, la straniera, stracciona, povero, idiota, nasconde per così dire la presenza di un dio anche se non è nessuno. Anche se non cela nient’altro che quello che si vede. Se è uno qualunque, un vecchio macilento mendicante senza un Ulisse dentro. Un ragno che non fu mai Aracne. Un giardiniere che non fu mai Gesù, e nemmeno Dubcek.

Difficile, il passo successivo. L’accoglienza, la cautela. Lo sguardo guardingo del poliziotto che aiuta il migrante avvolto nella carta stagnola a sbarcare dalla passerella della nave che l’ha soccorso, e che ora sarà sanzionata per averlo fatto, e che ha imparato che uno di quelli, una di quelle forse fra un anno o due o tre esporrà alla biennale di Venezia in un padiglione dedicato a lei, a lui, dal paese dal quale è fuggito. Oppure no - fa lo stesso.

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