(foto Ansa)

Piccola posta

Roma affollata e il lusso di generazioni passate

Adriano Sofri

Da una foto con una moltitudine di persone. Una manifestazione? Che ingenuità. Quanto è cambiata la Città Eterna e il privilegio di aver vissuto la vera quiete

Mia sorella mi ha mandato una fotografia di ieri della fontana di Trevi, presa da una finestra alta, com’erano quelle di casa di Pertini. Sotto, una ressa di persone colorate, così fitta che non ci passerebbe uno spillo. Ho pensato che volesse segnalarmi una grossa manifestazione per qualche causa, buona o cattiva. Che manifestazione è, le ho chiesto. Niente, ha detto, un’ora qualunque di un giorno qualunque. Che stupido, dovevo immaginarlo. Allora, ancora una volta, mi sono ricordato che vita di lusso ebbe la mia generazione. Sì, lo so, il luogo comune, e la fontana cantava e quell’acqua era chiara, la nevicata del ’56. A proposito: gran canzone, meravigliosa Mia Martini. Però era così. Da liceali maschi, avevamo conquistato combattivamente il diritto di uscire di notte. A piedi. Camminavamo per decine di kilometri. Io muovevo da Monteverde nuovo e potevo spingermi fino a via Veneto. Una notte aspettammo l’alba seduti sulla scalinata di San Pietro. Mai che comparisse una pattuglia a chiederci i documenti. Andavamo alla fontana di Trevi come se fosse dedicata a noi. Qualcuno ci entrava inosservato. Davanti al Messaggero prendevamo gratis una copia del giorno dopo, dal pacco messo lì per questo. Roma era tutta candida, tutta pulita e lucida.

Avete notato che la canzone la tira prodigalmente per le lunghe prima di arrivare al punto formidabile – Com’è, com’è, com’è… Avevo già 14 anni, nel ’56, ero grande. Un po’ più tardi, manifestavamo. Manifestammo a lungo, tanti, fitti, non ci passava uno spillo. Oggi, a manifestare, si rischia di sembrare un pubblico quotidiano alla fontana di Trevi. Chissà che arrivi un plotone a bastonarli di santa ragione, i turisti colorati.

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